Elusione – L’abuso del diritto nell’elaborazione della Corte di Cassazione

giurisprudenza
La Corte di Cassazione italiana considera inopponibili all’erario tutte le operazioni che configurano fattispecie di abuso del diritto in materia tributaria
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La stessa giurisprudenza, però, riconosce che l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa.

In un primo momento (anni 2000-2002), la Corte di Cassazione, posta innanzi alla questione dell’elusione fiscale e, in particolare, dei limiti entro cui essa può dar luogo ad atti che vengano dichiarati privi di efficacia nei confronti della Amministrazione, ha qualificato come elusivi, quindi irrilevanti nei confronti del fisco, solo quei comportamenti definiti tali da una legge vigente al momento in cui essi sono venuti in essere (cfr. Cass. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345).

Un’evoluzione interpretativa della Corte di Cassazione si è concretizzata in alcune pronunce della fine del 2005 (Cass. n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre 2005 e n. 22932 del 14 novembre 2005) che hanno sancito la nullità,  per difetto di causa, di contratti privi di una giustificazione socio-economica del negozio in quanto la finalità del risparmio d’imposta non può certo assurgere ad unica motivazione ed obiettivo.

In particolare, la sentenza n. 20816/2005 ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’Amministrazione finanziaria, quale terzo interessato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344 c.c.).
La relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso presunzioni.

La Corte  ha enunciato il principio del disconoscimento o della riqualificazione fiscale degli atti, fatti e negozi posti in essere dal contribuente, in presenza di presupposti integranti i profili dell’elusione o comunque dell’abuso di diritto.

Dalla sentenza n. 22392 del 2005 si ricavano i requisiti oggettivi che caratterizzano il comportamento abusivo ai fini fiscali: l’uso distorto, anche se formalmente lecito, degli strumenti giuridici da parte del contribuente; la presenza di un vantaggio fiscale; l’assenza di valide ragioni economiche.

Dal 2006 e fino alla fine del 2008, la Corte di Cassazione ha affermato il divieto dell’abuso del diritto facendo principalmente rinvio alla giurisprudenza comunitaria.

Nella sentenza Halifax della Corte di Giustizia UE (causa C-255/02, depositata il 21 febbraio 2006)  in sostanza, sono stati riqualificati, a fini Iva, i comportamenti del contribuente, in ragione della natura “abusiva del diritto” degli stessi.

La Corte di Giustizia  ha precisato che, per parlarsi di comportamento abusivo del diritto, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della legislazione comunitaria e della legislazione nazionale di recepimento, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni.

Deve altresì risultare, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

La giurisprudenza comunitaria, tuttavia,  è limitata ai tributi armonizzati (IVA e dazi doganali). Ultimamente si è pronunciata a questo riguardo la sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2012, causa C-417/10.

Nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con tre sentenze (n. 30055, n. 30056 e n. 30057 del 23 dicembre 2008), si sono pronunciate sulla questione, enunciando alcuni fondamentali principi di diritto:

  1. esiste nell’ordinamento tributario un generale principio antielusivo, la cui fonte va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria, bensì nei principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano, segnatamente nell’articolo 53 della Costituzione (principio della capacità contributiva (comma 1)”Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.”  progressività dell’imposizione (comma 2)“Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”).
    In virtù del generale principio antielusivo  il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale “in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”;
  2. l’esistenza del generale principio antielusivo non contrasta:
    • con le successive norme antielusive;
    • con l’articolo 23 della Costituzione (“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” ) dato che il riconoscimento di un generale divieto di abuso non si traduce in obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, ma unicamente nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione delle norme fiscali;
  3. l’inopponibilità del negozio abusivo all’erario è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità. L’amministrazione finanziaria  può invocare la nullità di un contratto (senza dover adire il giudice ordinario), sia pure al sol fine di disconoscerne gli effetti fiscali; il giudice tributario, anche in sede di legittimità, può dichiarare, in via incidentale, la nullità di un contratto.

Una sostanziale e incisiva rivisitazione della nozione dell’abuso del diritto in materia tributaria si è avuta infine con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione. In tale occasione la Corte ha affermato che l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa.

Il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa.

Anche dal punto di vista dell’onere della prova la sentenza n. 1372/2011 contiene un’affermazione rilevante: l’applicazione del principio dell’abuso del diritto comporta per l’amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente cui compete allegare le finalità perseguite, diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario.

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 2234/2013 ha stabilito che, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie, è irrilevante che il minor versamento di imposte derivi da una violazione oppure da una elusione (o abuso) di norme impositive. Con tale ordinanza la Corte ha esteso a qualunque tipo di imposta (nel caso di specie, all’imposta di registro, ipotecaria e catastale) il suddetto principio, già affermato nella sentenza n. 25537/2011 in materia di imposte dirette e Iva.

Per gli aspetti penali: 
Elusione – Abuso del Diritto – La violazione di una norma antielusiva puo’ costituire reato tributario

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