L‘articolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).
L’obbligo di monitoraggio non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (art. 2 della Legge n. 186 del 2014); resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.
Ora si pone il problema sulla qualificazione delle criptovalute.
L’acquisto di criptovalute sarebbe soggetto agli obblighi di monitoraggio anche se di valore inferiore ai 15mila euro (articolo 4, comma 3, Dl 167/1990) in quanto il suddetto limite si rivolge solo a «depositi e conti correnti bancari», mentre la stessa Banca d’Italia (comunicazione del 30 gennaio 2015) ha affermato che le criptovalute non sono valute aventi corso legale (“Le Valute Virtuali non sono moneta legale e non devono essere confuse con la moneta elettronica“).
Gli obblighi di monitoraggio sussistono solo per i beni “esteri”.
Ora c’è da considerare che la tecnologia blockchain, sulla quale si basano i bitcoin e altre criptovalute, rende, a di poco, arduo determinare una loro precisa localizzazione geografica.
Le criptovalute sono dematerializzate, non hanno un “emittente” localizzabile in un determinato Stato e non prevedono un intermediario e le loro modalità di archiviazione sono variegate e modificabili.
Le criptovalute, infatti, sono a-territoriali, non sono né in Italia né all’estero. Si può dire, che le criptovalute sono nella “rete” (nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.
Si può così giungere alla conclusione che l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussista ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.
L’indicazione nel quadro RW può sussistere solo per le criptovalute per le quali le chiavi private sono gestite dal custodial wallet, se quest’ultimo risulta soggetto residente o domiciliato all’estero. L’indicazione non avrebbe senso, invece, per le criptovalute gestite attraverso custodial residenti in Italia, venendo a mancare ogni legame con l’estero.
Fondamentale è il criterio di valorizzazione e , per quanto disposto dalla circolare n. 28/E del 2 luglio 2012 (al paragrafo 2.3, Base imponibile dell’IVAFE ), per le criptovalute dovrebbe sempre valere il criterio residuale del costo di acquisto (“nell’ipotesi in cui manchi sia il valore nominale sia il valore di rimborso la base imponibile è costituita dal valore di acquisto dei titoli”) in quanto le criptovalute non sono una valuta avente corso legale; non sono investimenti aventi una quotazione in un mercato regolamentato e non hanno né un valore nominale, né un valore di rimborso.
Una importante indicazione è contenuta in una risposta (non pubblica) rilasciata dall’agenzia delle Entrate (Dre Lombardia) a un interpello, il n. 956-39/2018: “i bitcoin, e in generale le criptovalute, vanno monitorati nel quadro RW del modello Redditi PF 2018 se detenute al di fuori del circuito degli intermediari residenti“.
Dando seguito alla risoluzione n. 72/E/2016 l’amministrazione conferma, nel rispetto della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale, che anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo nel Quadro RW.
Ai fini Irpef, l’Amministrazione richiama le conclusioni della risoluzione 72/E ribadendo che le valute virtuali, se detenute al di fuori del regime di impresa, possono generare un reddito diverso tassabile secondo i principi che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali, previsti dall’articolo 67, comma 1-ter del T.U.I.R..
Può rilevare ogni conversione di bitcoin realizzata per effetto di una cessione a pronti se la giacenza media dell’insieme dei “wallet” (portafoglio elettronico, considerato l’equivalente di un deposito tradizionale ai fini dell’articolo 67) detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi.
“Art. 67, comma 1-ter, del TUIR: Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui.”
La giacenza va calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1° gennaio (1), rilevato sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o in mancanza quello dove ha effettuato la maggior parte delle operazioni. La plusvalenza (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va dichiarata nel quadro RT, Plusvalenze di natura finanziaria, utilizzando il criterio Lifo (2) in caso di vendite parziali, liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%. Il costo, se non documentabile, può essere calcolato dividendo l’importo del bonifico effettuato all’exchanger per il numero di criptovalute acquistate.
Ai fini Ivafe, in senso opposto all’assimilazione tra wallet e depositi sopra accennata, l’Agenzia precisa che le criptovalute non sono soggette a tassazione in quanto l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura “bancaria”.
Nel documento si precisa che l’investimento in criptovalute va monitorato utilizzando, ai fini della conversione in euro, il cambio al 31 dicembre (o alla data di vendita), rilevato sul sito utilizzato per l’acquisto, e il codice 14 «altre attività estere di natura finanziaria» in colonna 3.
Le plusvalenze realizzate per effetto di una cessione di criptovalute a termine costituiscono sempre redditi diversi. Di conseguenza, come tali, devono essere indicati nel quadro RT del modello Unico PF di dichiarazione ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento (Vedi: art. 67 del Tuir, primo comma c-ter): “le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreche’ siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente.”
Le cessioni a pronti di criptovalute non generano redditi imponibili salvo la giacenza “media” dei wallet complessivamente detenuti dal contribuente, superi il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. In tal caso, va compilato il quadro RT come previsto per le cessioni a termine
L’agenzia delle Entrate (Dre Liguria) con la risposta all’interpello n. 903-47/2018 ha ribadito che la detenzione di criptovalute e di token al di fuori dell’attività di impresa, comprese quelle derivanti dalla partecipazione ad Ico (Initial coin offering) generate da un cosiddetto «crowdsale», va sempre monitorata nel quadro Rw, mentre ogni transazione in euro non «a pronti», anche generata da quell’attività, produce redditi da dichiarare al quadro Rt da assoggettare ad imposta sostitutiva del 26 per cento.
(1) cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165:
la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente sia superiore a 100 milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza e’ stata realizzata. Il valore in lire della giacenza in valuta va calcolato secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, e cioe’ al 1 gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (prelievo), verificando altresi’ che in tale anno la anzidetta giacenza si sia protratta per almeno sette giorni lavorativi continui. Resta inteso che, qualora non risulti integrata la condizione precedentemente individuata, non si rendono deducibili neppure le minusvalenze eventualmente
realizzate.
(2) Interpello n. 956-39/2018: Si fa presente, inoltre, che ai fini della determinazione di un’eventuale plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la predetta giacenza media, si deve utilizzare il costo di acquisto e che agli effetti della determinazione delle plusvalenze/minusvalenze si considerano cedute per prime le valute acquisite in data più recente (cfr. articolo 67, comma 1-bis, del TUIR).