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Regime fiscale UE applicabile alle società madri e figlie

L’Unione Europea, rispondendo all’esigenza, direttamente connessa al principio fondante dell’Unione Europea di garantire la libera circolazione dei capitali all’interno del mercato comune, di non ostacolare la formazione di gruppi societari transfrontalieri,   ha introdotto, per i gruppi di società di Stati membri diversi, disposizioni fiscali improntate alla massima neutralità fiscale, con l’obiettivo di eliminare la possibilità di doppia imposizione degli utili distribuiti in forma di dividendi dalle società figlie, stabilite in uno Stato membro, alle corrispondenti società madri, stabilite in un altro Stato membro, dovuta al simultaneo intervento di regimi tributari di due Stati differenti.

La   Direttiva 90/435/CEE , nota come direttiva madre-figlia, poi rifusa nella Direttiva 2011/96/UE , disciplina la tassazione degli utili distribuiti nei casi in cui, all’interno di un gruppo societario, società madre e società figlia appartengano a differenti Stati membri dell’Unione Europea.

In base all’art. 1 della Direttiva 2011/96/UE ogni Stato membro applica la direttiva in oggetto:

a) alla distribuzione degli utili percepiti da società di questo Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;
b) alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato membro a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali;
c) alla distribuzione degli utili percepiti da stabili organizzazioni di società di altri Stati membri situate in tale Stato membro e provenienti dalle loro società figlie di uno Stato membro diverso da quello in cui è situata la stabile organizzazione;
d) alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato membro a stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro di società del medesimo Stato membro di cui sono società figlie.

In base al comma 2 dell’art.1 la direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

Ai fini dell’applicazione della Direttiva si intende per:

a) «società di uno Stato membro» qualsiasi società:

i) che abbia una delle forme enumerate nell’allegato I, parte A;
ii) che, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sia considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato membro e, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo, non sia considerata come avente tale domicilio fuori dell’Unione;
iii) che, inoltre, sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle imposte elencate nell’allegato I, parte B, o a qualsiasi altra imposta che venga a sostituire una delle imposte sopraindicate;
b) «stabile organizzazione» una sede fissa di affari situata in uno Stato membro, attraverso la quale una società di un altro Stato membro esercita in tutto o in parte la sua attività, per quanto gli utili di quella sede di affari siano soggetti a imposta nello Stato membro nel quale essa è situata ai sensi del pertinente trattato fiscale bilaterale o, in assenza di un siffatto trattato, ai sensi del diritto interno.

In base all’art.3 ai fini dell’applicazione della Direttiva:

a)

la qualità di società madre è riconosciuta:

i)

almeno a una società di uno Stato membro che soddisfi le condizioni di cui all’articolo 2 e che detenga una partecipazione minima del 10 % nel capitale di una società di un altro Stato membro che soddisfi le medesime condizioni;

ii)

alle stesse condizioni, ad una società di uno Stato membro che detenga nel capitale di una società dello stesso Stato membro una partecipazione minima del 10 %, parzialmente o totalmente attraverso una stabile organizzazione della prima società situata in un altro Stato membro;

b)

«società figlia» la società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata alla lettera a).

In deroga gli Stati membri hanno la facoltà:

a)

di sostituire, mediante accordo bilaterale, il criterio di partecipazione al capitale con quello dei diritti di voto;

b)

di non applicare la presente direttiva a quelle società di tale Stato membro che non conservino, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre o alle società nelle quali una società di un altro Stato membro non conservi, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, siffatta partecipazione.

Quindi, si considera società madre la società insediata in uno degli Stati membri dell’UE che detenga una partecipazione minima, o pari al 10%, nel capitale (o nei diritti di voto) di una società di un altro Stato membro (vedi: comma 3-ter art. 89 TUIR).

Gli ordinamenti fiscali degli Stati membri hanno la facoltà di non applicare il beneficio dell’esenzione accordato agli utili nell’ambito della madre-figlia qualora la partecipazione non risulti detenuta ininterrottamente da almeno due anni (l’Italia prevede un holding period di un anno, comma 3-ter art. 89 TUIRlettera d) primo comma art.27 bis DPR/600).

In base all’art. 4 della Direttiva 2011/96/UE lo Stato della società madre può alternativamente:

  • astenersi dal sottoporre ad imposizione gli utili distribuiti dalla società figlia (lettera a) paragrafo 1 art.4);
  • sottopone ad imposizione gli utili, autorizzando però la società madre o la sua stabile organizzazione a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta subita dalla società figlia nel proprio Stato di insediamento nei limiti dell’imposta nazionale corrispondente(lettera b) paragrafo 1 art.4).

La Direttiva 2014/86/UE del Consiglio dell’8 luglio 2014, modificando l’art.4, quando una società madre, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia:

  • circoscrive l’obbligo dello Stato membro della società madre di astenersi dall’imposizione degli utili distribuiti “nella misura in cui essi non sono deducibili per la società figlia“;
  • prevede il dovere di sottoporre “tali utili ad imposizione nella misura in cui essi sono deducibili per la società figlia.

Questo allo scopo di contrastare schemi abusivi, che si basano sull’utilizzo di strumenti finanziari ibridi (hybrid financial instrument), in cui uno strumento finanziario è classificato come strumento di debito dall’ordinamento fiscale di uno Stato (il pagamento ad esso associato è quindi deducibile secondo la normativa fiscale di tale Paese) mentre è classificato dall’ordinamento fiscale di un altro Stato come apporto di capitale, (rendendo così l’utile ad esso associato fiscalmente esente).

La modifica legislativa si inserisce, quindi, nel solco delineato dalla raccomandazione della Commissione 2012/772/Ue in merito alla necessità di rafforzare la lotta all’elusione e all’evasione fiscale, con particolare attenzione alla possibile utilizzazione abusiva di strumenti finanziari ibridi, negli interventi normativi di contrasto a fenomeni di doppia non imposizione, doppia esenzione o, come nella previsione di cui all’art. 1 della Direttiva 2014/86/UE,  a meccanismi di deduzione esenzione, dovuti alla mancata armonizzazione dei diversi ordinamenti fiscali.

Il piano d’azione progetto Base erosion and profit shifting (BEPSdell’OCSE, prefiggendosi l’obiettivo di neutralizzare i fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva, va nella medesima direzione ed in questo contesto, sono state pubblicate le raccomandazioni per un approccio internazionale coordinato di lotta all’evasione fiscale delle imprese multinazionali, tra cui quelle relative all’Action Plan n. 2 dal titolo “Neutralising the effects of hybrid mismatch arrangements” (Vedi:  Direttive anti elusione – Anti Tax Avoidance Directives (ATAD 1 e 2)).

La  Direttiva (UE) 2015/121, ponendosi nel solco normativo suddetto, sostituendo il paragrafo 2 dell’art. 1 della Direttiva 2011/96/UE, recita:

2. Gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o a una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della presente direttiva, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti.

Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.

3. Ai fini del paragrafo 2, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.

4. La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale, la frode fiscale o l’abuso“. 

In base all’art. 5 della Direttiva 2011/96/UE gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte.

Lo Stato membro da cui dipende la società madre non può riscuotere ritenute alla fonte sugli utili che questa società riceve dalla sua società figlia.

L’espressione «ritenuta alla fonte» non comprende il pagamento anticipato o preliminare (ritenuta) dell’imposta sulle società allo Stato membro in cui ha sede la società figlia, effettuato in concomitanza con la distribuzione degli utili alla società madre.

La Direttiva 2011/96/UE lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi.

L’art. 26 della Legge n. 122 del 7 luglio 2016 (disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea”, meglio nota come “legge europea”,  pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 del 8 luglio 2016), ha recepito nell’ordinamento fiscale italiano le Disposizioni della direttiva 2014/86/UE e della direttiva (UE) 2015/121 concernenti il regime fiscale comune applicabile alle societa’ madri e figlie di Stati membri diversi:

Evoluzione normativa:

Direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri
diversi

Direttiva 2003/123/CE che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società
madri e figlie di Stati membri diversi

Direttiva 2006/98/CE che adegua talune direttive in materia di fiscalità, a motivo dell’adesione della Bulgaria e della Romania

Direttiva  2011/96/UE  concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (rifusione)

Direttiva 2014/86/UE recante modifica della direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

Direttiva (UE) 2015/121 DEL CONSIGLIO
del 27 gennaio 2015 che modifica la direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

Art. 26 della Legge n. 122 del 7 luglio 2016 “disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea”, meglio nota come “legge europea”,  pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 del 8 luglio 2016.

Quadro RW – IVIE

L’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero ), l’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, è stata introdotta nel nostro ordinamento ad opera del comma 13 dell’art. 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. Decreto Monti) e regolamentata dai commi al 14 al 17 (1).

In seguito sono state stata emanate:

  • il 2 luglio 2012 (Prot.: 2012/97954) la CIRCOLARE N.28/E della Direzione Centrale Normativa Settore Imposte sui Redditi e sulle Attività Produttive Ufficio Redditi di Capitale e Diversi;
  • Legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013) – commi 518 e 519 dell’articolo 1;
  • il 19 aprile 2013 la RISOLUZIONE N. 27/E
     OGGETTO: Ridenominazione dei codici tributo “4041”, “4042”, “4043” e istituzione di ulteriori codici tributo per il versamento, tramite modello F24, dell’imposta sul valore degli immobili situati all’estero e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero ai sensi dell’articolo 19, commi da 13 a 23, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni;
  • il 3 maggio 2013 la CIRCOLARE N. 12/E – cap V –  Novità in materia di IVIE e IVAFE;
  • Decreto-legge del 28/06/1990 n. 167 – Articolo 4 – Dichiarazione annuale per gli investimenti e le attivita’. In vigore dal 04/07/2017, Modificato da: Decreto legislativo del 25/05/2017 n. 90 Articolo 8.

Le persone fisiche residenti in Italia che possiedono immobili all’estero, a qualsiasi uso destinati, hanno l’obbligo di versare l’Ivie (Imposta sul valore degli immobili situati all’estero).

L’imposta è dovuta dai:

  • proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali per natura o per destinazione destinati ad attività d’impresa o di lavoro autonomo
  • titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi
  • concessionari, nel caso di concessione di aree demaniali
  • locatari, per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria.

Dal 1° gennaio 2016 l’imposta non si applica al possesso degli immobili adibiti ad abitazione principale (e per le relative pertinenze), e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che in Italia non risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Le istruzioni dettagliate sul valore degli immobili da prendere come riferimento sono contenute nella CIRCOLARE N.28/E.

In allegato alla CIRCOLARE N.28/E.Tabella 1, sono elencati i Paesi UE e SEE distinguendo quelli per i quali:

  • in relazione ai quali si deve assumere quale base imponibile dell’IVIE il valore catastale dell’immobile utilizzato ai fini dell’assolvimento delle imposte indicate in tale colonna (Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo,  Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria)
  • (Belgio, Francia, Irlanda e Malta), in relazione ai quali per la determinazione della base imponibile dell’IVIE si deve fare riferimento al costo risultante dall’atto di acquisto e, in assenza, al valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile o, a scelta del contribuente, al valore che si ottiene moltiplicando il reddito medio ordinario, eventualmente previsto dalle legislazioni locali, per i coefficienti IMU (vedi Tabella 2).

L’aliquota è pari, ordinariamente, allo 0,76% del valore degli immobili, ed è calcolata in proporzione alla quota di possesso e ai mesi dell’anno nei quali il possesso c’è stato (viene conteggiato per intero il mese nel quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni). Il versamento non è dovuto se l’importo complessivo (calcolato a prescindere da quote e periodo di possesso e senza tenere conto delle detrazioni previste per lo scomputo dei crediti di imposta) non supera i 200 euro.

L’IVIE non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ad eccezione delle unita’ immobiliari che in Italia risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali si applica l’aliquota nella misura ridotta dello 0,4 per cento e la detrazione, fino a concorrenza del suo ammontare, di euro 200 rapportati al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unita’ immobiliare e’ adibita ad abitazione principale da piu’ soggetti passivi la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.

Dall’IVIE si deduce, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui e’ situato l’immobile.

Per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, dalla predetta imposta si deduce un credito d’imposta pari alle eventuali imposte di natura patrimoniale e reddituale gravanti sullo stesso immobile, non gia’ detratte ai sensi dell’articolo 165 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

Per dichiarare il valore degli immobili situati all’estero il contribuente deve compilare il quadro RW. Il valore dell’immobile è costituito, in generale, dal costo risultante dall’atto di acquisto e, in mancanza, dal valore di mercato rilevabile al termine dell’anno (o del periodo di detenzione) nel luogo in cui è situato l’immobile. A decorrere dalle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2013, il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 18 dicembre 2013 stabilisce, quale regola generale, che il controvalore in euro degli investimenti e delle attività espressi in valuta da indicare nel quadro RW debba essere calcolato, per tutti i dati riportati nel quadro dichiarativo in esame, sulla base dei cambi mensili indicati nello specifico provvedimento del Direttore dell’Agenzia emanato ai fini dell’individuazione dei cambi mensili agli effetti delle norme dei Titoli I e II del TUIR.

MODALITÀ DICHIARATIVE

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW per il calcolo  IVIE.

Considerato che il quadro RW riguarda la rilevazione degli investimenti all’estero detenuti nel periodo d’imposta, occorre compilare il quadro anche se l’investimento non è più posseduto al termine del periodo d’imposta.

Per gli importi in valuta estera il contribuente deve indicare il controvalore in euro utilizzando il cambio indicato nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia emanato ai fini dell’individuazione dei cambi medi mensili agli effetti delle norme contenute nei titoli I e II del Tuir.

Se il contribuente è obbligato alla presentazione del modello REDDITI Persone fisiche 2018, il quadro RW deve essere presentato unitamente a detto modello.

Nei casi di esonero dalla dichiarazione dei redditi o qualora il contribuente abbia utilizzato il mod. 730/2018, il quadro RW per la parte relativa al monitoraggio deve essere presentato con le modalità e nei termini previsti per la dichiarazione dei redditi unitamente al frontespizio del modello REDDITI Persone fisiche 2018 debitamente compilato (in tal caso il quadro RW costituisce un “quadro aggiuntivo” al modello 730).

Gli obblighi d’indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per gli immobili situati all’estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d’imposta, fatti salvi i versamenti relativi all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero (art. 7 quater, comma 23, del decreto legge n.193 del 2016 convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225 che ha modificato  l’articolo 4, comma 3, del decreto-legge 28 giugno 1990, n.167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n.227).

Ai soli fini della corretta determinazione dell’IVIE complessivamente dovuta, in caso di variazioni intervenute anche per un solo immobile, il quadro va compilato con l’indicazione di tutti gli immobili situati all’estero compresi quelli non variati.

VALORIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI

Per l’individuazione del valore degli immobili situati all’estero devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’IVIE,  anche se non dovuta.
Pertanto, il valore dell’immobile è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti da cui risulta il costo complessivamente sostenuto per l’acquisto di diritti reali diversi dalla proprietà e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile al termine dell’anno (o del periodo di detenzione) nel luogo in cui è situato l’immobile.

Per gli immobili acquisiti per successione o donazione, il valore è quello dichiarato nella dichiarazione di successione o nell’atto registrato o in altri atti previsti dagli ordinamenti esteri con finalità analoghe; in mancanza, si assume il costo di acquisto o di costruzione sostenuto dal de cuius o dal donante come risulta dalla relativa documentazione.

Per gli immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo, il valore è quello catastale o, in mancanza, il costo risultante dall’atto di acquisto o, in assenza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.

Per le altre attività patrimoniali detenute all’estero, diverse dagli immobili, per le quali non è dovuta l’IVIE, il contribuente deve indicare il costo di acquisto, ovvero il valore di mercato all’inizio di ciascun periodo di imposta (o al primo giorno di detenzione) e al termine dello stesso (o al termine del periodo di detenzione).

COMPILAZIONE DEL QUADRO

Nei righi da RW1 a RW5, indicare:

• nella colonna 1, il codice che contraddistingue a che titolo i beni sono detenuti:
1 proprietà
2 usufrutto
3 nuda proprietà
4 altro (altro diritto reale, beneficiario di trust, ecc.)
• la colonna 2 deve essere compilata indicando il codice 1 se il contribuente è un soggetto delegato al prelievo o alla movimentazione del conto corrente oppure il codice 2 se il contribuente risulta il titolare effettivo;
• nella colonna 3 il codice di individuazione del bene, rilevato dalla “Tabella codici investimenti all’estero e attività estera di natura finanziaria” posta in APPENDICE
• nella colonna 4, il codice dello Stato estero, rilevato dalla tabella “Elenco Paesi e Territori esteri” posta in APPENDICE al FASCICOLO 1;
• nella colonna 5, indicare la quota di possesso (in percentuale) dell’investimento situato all’estero;
• nella colonna 6, il codice che contraddistingue il criterio di determinazione del valore:
1 valore di mercato;
2 valore nominale;
3 valore di rimborso;
4 costo d’acquisto;
5 valore catastale;
6 valore dichiarato nella dichiarazione di successione o in altri atti;
• nella colonna 7, il valore all’inizio del periodo d’imposta o al primo giorno di detenzione dell’attività;
• nella colonna 8, il valore al termine del periodo di imposta ovvero al termine del periodo di detenzione dell’attività.
• nella colonna 12, indicare il numero di mesi di possesso per i beni per i quali è dovuta l’IVIE; si considerano i mesi in cui il possesso è durato almeno 15 giorni (il campo è da compilare solo nel caso in cui sia dovuta l’IVIE);
• nella colonna 13, riportare l’IVIE calcolata rapportando il valore indicato in colonna 8 alla quota e al periodo di possesso. In particolare:
I. l’aliquota dello 0,76 per cento;II. l’aliquota dello 0,40 per cento per l’immobile, e relative pertinenze, se adibito ad abitazione principale (in questo caso in colonna 3 indicare il codice 19) solo per le unità immobiliari che in Italia risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Dal 1°gennaio 2016, infatti, l’IVIE non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle relative pertinenze nonché alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 1 comma 16 legge n. 208 del 2015) che non risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
• nella colonna 14, riportare il credito d’imposta pari al valore dell’imposta patrimoniale versata nello Stato in cui è situato l’immobile o prodotto finanziario. L’importo indicato in questa colonna non può comunque essere superiore all’ammontare dell’imposta dovutaindicata in colonna 11 o 13;
• nella colonna 15, indicare l’IVAFE dovuta pari alla differenza tra l’imposta calcolata (colonna 11) e il credito d’imposta spettante (colonna 14);
• nella colonna 16, riportare, la detrazione spettante di 200 euro rapportata al periodo dell’anno durante il quale l’immobile e relative pertinenze sono state adibite ad abitazione principale; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivila detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica;
• nella colonna 17, indicare l’IVIE dovuta pari alla differenza tra l’imposta calcolata (colonna 13) e il credito d’imposta spettante (colonna14) e la detrazione (colonna 16);
• nella colonna 18, deve essere indicato un codice per indicare la compilazione di uno o più quadri reddituali conseguenti al cespite indicato oggetto di monitoraggio ovvero se il bene è infruttifero. In particolare, indicare:
1 Compilazione quadro RL;
2 Compilazione quadro RM;
3 Compilazione quadro RT;
4 Compilazione contemporanea di due o tre quadri tra RL, RM e RT;
5 Nel caso in cui i redditi relativi ai prodotti finanziari verranno percepiti in un successivo periodo d’imposta ovvero se i predetti prodotti finanziari sono infruttiferi. In questo caso è opportuno che gli interessati acquisiscano dagli intermediari esteri documenti o attestazioni da cui risulti tale circostanza;

• nelle colonne 22 e 23 inserire i codici fiscali degli altri soggetti che a qualsiasi titolo sono tenuti alla compilazione della presente sezione nella propria dichiarazione dei redditi. Nella colonna 24, barrare la casella nel caso i cointestatari siano più di due.

Nel caso in cui sono stati utilizzati più moduli va compilato esclusivamente il rigo  RW7 del primo modulo indicando in ciascuno di essi il totale di tutti i righi compilati.

Il rigo RW7 deve essere compilato dal contribuente per determinare l’imposta dovuta ed eventualmente da versare per l’anno 2018.

In particolare indicare:
in colonna 1, il totale dell’imposta dovuta che risulta sommando gli importi determinati nella colonna 17 se le attività sono soggette all’IVIE dei righi compilati nella presente sezione.
in colonna 2, (Eccedenza dichiarazione precedente) riportare l’eventuale credito dell’imposta sul valore degli immobili posseduti
all’estero che risulta dalla dichiarazione relativa ai redditi 2017, indicato nella colonna 5 del rigo RX25 del Mod. REDDITI PF 2018;
in colonna 3, (Eccedenza compensata modello F24), indicare l’importo dell’eccedenza di IVIE eventualmente compensata utilizzando il modello F24;
in colonna 4, (Acconti versati), indicare l’ammontare degli acconti dell’IVIE versati per l’anno 2018 con il modello F24;Per determinare l’IVIE a debito o a credito effettuare la seguente operazione: col.1 – col.2 + col.3 – col.4 Se il risultato di tale operazione è positivo (debito) riportare l’importo così ottenuto nella colonna 5 (Imposta a debito). In tal caso l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero va versata con il modello F24, indicando il codice tributo 4041, con le stesse modalità e scadenze previste per l’Irpef ivi comprese quelle relative alle modalità di versamento dell’imposta in acconto e a saldo. L’imposta non va versata se l’importo di questa colonna non supera 12 euro. Se il risultato di tale operazione è negativo (credito) riportare l’importo così ottenuto nella colonna 6 (Imposta a credito).

Per il versamento dell’Ivie si applicano le stesse regole previste per l’Irpef, comprese quelle riguardanti importi e date di acconto e saldo.

I codici tributo da utilizzare nel modello F24 sono i seguenti:

  • “4041” denominato “Imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 13, DL. n. 201/2011, conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – SALDO”
  • “4042” denominato “Imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 13, DL. n. 201/2011 conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – Società fiduciarie – SALDO”
  • “4044” denominato “Imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 13, DL. n. 201/2011, conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – ACCONTO PRIMA RATA”
  • “4045” denominato “Imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 13, DL. n. 201/2011, conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – ACCONTO SECONDA RATA O ACCONTO IN UNICA SOLUZIONE”
  • “4046” denominato “Imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 13, DL. n. 201/2011 conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – Società fiduciarie – ACCONTO”

 

 

(1) 13. A decorrere dal 2012 e’ istituita un’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato.

14. Soggetto passivo dell’imposta di cui al comma 13 e’ il proprietario dell’immobile ovvero il titolare di altro diritto reale sullo stesso. L’imposta e’ dovuta proporzionalmente alla quota di possesso e ai mesi dell’anno nei quali si e’ protratto il possesso; a tal fine il mese durante il quale il possesso si e’ protratto per almeno quindici giorni e’ computato per intero.

15. L’imposta di cui al comma 13 e’ stabilita nella misura dello 0,76 per cento del valore degli immobili. L’imposta non e’ dovuta se l’importo, come determinato ai sensi del presente comma, non supera euro 200. Il valore e’ costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui e’ situato l’immobile. Per gli immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore e’ quello catastale come determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile e’ situato ai fini dell’assolvimento di imposte di natura patrimoniale o reddituale o, in mancanza, quello di cui al periodo precedente.

15-bis. L’imposta di cui al comma 13 non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ad eccezione delle unita’ immobiliari che in Italia risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali si applica l’aliquota nella misura ridotta dello 0,4 per cento e la detrazione, fino a concorrenza del suo ammontare, di euro 200 rapportati al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unita’ immobiliare e’ adibita ad abitazione principale da piu’ soggetti passivi la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.

15-ter. Per gli immobili di cui al comma 15-bis e per gli immobili non locati assoggettati all’imposta di cui al comma 13 del presente articolo non si applica l’articolo 70, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. 

16. Dall’imposta di cui al comma 13 si deduce, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui e’ situato l’immobile. Per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, dalla predetta imposta si deduce un credito d’imposta pari alle eventuali imposte di natura patrimoniale e reddituale gravanti sullo stesso immobile, non gia’ detratte ai sensi dell’articolo 165 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

17. Per il versamento, la liquidazione, l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e i rimborsi nonche’ per il contenzioso, relativamente all’imposta di cui al comma 13 si applicano le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, ivi comprese quelle relative alle modalita’ di versamento dell’imposta in acconto e a saldo (2).

Quadro RW – IVAFE

L’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Estere), l’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, è stata introdotta nel nostro ordinamento ad opera del comma 18 dell’art. 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. Decreto Monti) e regolamentata dai commi al 19 al 22 (1).

In seguito sono state stata emanate:

  • il 2 luglio 2012 (Prot.: 2012/97954) la CIRCOLARE N.28/E della Direzione Centrale Normativa Settore Imposte sui Redditi e sulle Attività Produttive Ufficio Redditi di Capitale e Diversi;
  • Legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013) – commi 518 e 519 dell’articolo 1;
  • il 19 aprile 2013 la RISOLUZIONE N. 27/E
     OGGETTO: Ridenominazione dei codici tributo “4041”, “4042”, “4043” e istituzione di ulteriori codici tributo per il versamento, tramite modello F24, dell’imposta sul valore degli immobili situati all’estero e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero ai sensi dell’articolo 19, commi da 13 a 23, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni;
  • il 3 maggio 2013 la CIRCOLARE N. 12/E – cap V –  Novità in materia di IVIE e IVAFE;
  • Decreto-legge del 28/06/1990 n. 167 – Articolo 4 – Dichiarazione annuale per gli investimenti e le attivita’. In vigore dal 04/07/2017, Modificato da: Decreto legislativo del 25/05/2017 n. 90 Articolo 8.

La base imponibile dell’IVAFE è rappresentata dal valore di mercato, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenuti i prodotti finanziari, anche utilizzando la documentazione dell’intermediario estero di riferimento per le singole attività e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso.

La Legge di Stabilità 2013 (L. 228/2012) ha previsto il differimento dell’istituzione dell’IVAFE dal 2011 al 2012. La misura dell’imposta è dell’1,5 per mille a decorrere dal 2013 è stata incrementata al 2 per mille a decorrere dal 2014 dall’articolo 1, co. 392, della L. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014.

Dall’IVAFE si deduce, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui sono detenuti i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio.

L’introduzione dell’imposta è stata giustificata dal Legislatore italiano (e dai successivi interventi di prassi, vedi C.M. 28/E/2012) da esigenze di coerenza del sistema, posto che per le attività detenute presso intermediari italiani è prevista l’applicazione di un’imposta di bollo ai sensi dell’art. 13, co. 2-bis e 2-ter, della Tariffa, Allegato A, Parte Prima, D.P.R. 642/1972.

La norma è nata dunque per eliminare la disparità di trattamento tra attività finanziarie detenute in Italia e attività finanziare detenute all’estero.

Nell’ambito della procedura EU Pilot 5095/12/TAXU, la Commissione europea ha rilevato la incompatibilità con il diritto europeo di alcune disposizioni contenute nel D.L. 201/2011. In particolare, la Commissione contesta la disparità di trattamento tra l’imposta di bollo sui prodotti finanziari e quella sulle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE).

Era stato evidenziato che il presupposto d’imposta dell’IVAFE era più ampio rispetto alla corrispondente imposta di bollo dovuta sui prodotti finanziari, conti correnti e libretti di risparmio detenuti in Italia.

Nello specifico è stato rilevato che la normativa sul bollo si applica ai prodotti finanziari (ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati), mentre quella dell’IVAFE si applicava alle attività finanziarie. Ciò determinava una disparità di trattamento tra attività finanziarie detenute in Italia e attività finanziare detenute all’estero. La differenza aveva impatti applicativi di non poco conto.

Basti pensare al caso della detenzione di quote di una società a responsabilità limitata che, se riferite a enti non residenti, erano assoggettate a IVAFE, mentre se riferite a una società a responsabilità limitata non scontavano l’imposta di bollo.

Per far fronte ai rilevi mossi dalla Commissione europea nell’ambito del Caso EU Pilot 5095/12/TAXU, l’art. 9 della L. n. 161 del 30.10.2014, ha modificato l’art. 19, co. 18, 20 e 21, D.L. 201/2011, restringendo l’ambito oggettivo di applicazione dell’IVAFE.

Si prevede in particolare che, a decorrere dall’anno 2014, l’imposta è dovuta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero, in luogo della precedente formulazione che la rapportava al più ampio concetto di attività finanziarie.

A seguito della suddetta modifica normativa, l’IVAFE non è più dovuta (dal 2014) in relazione alla detenzione all’estero, da parte delle persone fisiche, fiscalmente residenti in Italia di:
– partecipazioni in società estere;
– metalli preziosi allo stato grezzo o monetato;
– valute estere (in banconote o monete);
– e per i finanziamenti soci.

MODALITÀ DICHIARATIVE

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW  per il calcolo  IVAFE.

Considerato che il quadro riguarda la rilevazione delle attività finanziarie e investimenti all’estero detenuti nel periodo d’imposta, occorre compilare il quadro anche se l’investimento non è più posseduto al termine del periodo d’imposta (ad esempio il caso di un conto corrente all’estero chiuso nel corso del 2018).

Per gli importi in valuta estera il contribuente deve indicare il controvalore in euro utilizzando il cambio indicato nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia emanato ai fini dell’individuazione dei cambi medi mensili agli effetti delle norme contenute nei titoli I e II del Tuir.

Se il contribuente è obbligato alla presentazione del modello REDDITI Persone fisiche 2018, il quadro RW deve essere presentato unitamente a detto modello.

Nei casi di esonero dalla dichiarazione dei redditi o qualora il contribuente abbia utilizzato il mod. 730/2018, il quadro RW per la parte relativa al monitoraggio deve essere presentato con le modalità e nei termini previsti per la dichiarazione dei redditi unitamente al frontespizio del modello REDDITI Persone fisiche 2018 debitamente compilato (in tal caso il quadro RW costituisce un “quadro aggiuntivo” al modello 730).

VALORIZZAZIONE  DELLE ATTIVITÀ DI NATURA FINANZIARIA

Per l’individuazione del valore dei prodotti finanziari devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’IVAFE.

Pertanto, il valore è pari al valore di quotazione rilevato al 31 dicembre o al termine del periodo di detenzione.

Per i titoli non negoziati in mercati regolamentati e, comunque, nei casi in cui i prodotti finanziari quotate siano state escluse dalla negoziazione si deve far riferimento al valore nominale o, in mancanza, al valore di rimborso, anche se rideterminato ufficialmente.

Nel caso in cui siano ceduti prodotti finanziari appartenenti alla stessa categoria, acquistati a prezzi e in tempi diversi, per stabilire quale dei prodotti finanziari è detenuta nel periodo di riferimento il metodo che deve essere utilizzato è il cosiddetto “L.I.F.O.” e, pertanto, si considerano ceduti per primi quelli acquisiti in data più recente.

Per esigenze di semplificazione, il contribuente indica, per ciascuna società o entità giuridica, il valore complessivo di tutti i prodotti finanziarie patrimoniali di cui risulta essere il titolare effettivo, avendo cura di predisporre e conservare un apposito prospetto in cui devono essere specificati i valori delle singole attività.

Il prospetto deve essere esibito o trasmesso, su richiesta all’amministrazione finanziaria.

In presenza di più operazioni della stessa natura, il contribuente può aggregare i dati per indicare un insieme di prodotti finanziari omogenei caratterizzati, cioè, dai medesimi codici “investimento” e “Stato Estero”.

In tal caso il contribuente indicherà nel quadro RW i valori complessivi iniziali e finali del periodo di imposta, la media ponderata dei giorni di detenzione di ogni singolo prodotto finanziario rapportato alla relativa consistenza, nonché l’IVAFE complessiva dovuta.

Per le attività finanziarie si precisa che l’importo da indicare nel quadro è prioritariamente pari al valore che risulta dal documento di rendicontazione predisposto dall’istituto finanziario estero o al valore di mercato, a condizione che siano coincidenti.

COMPILAZIONE DEL QUADRO

Nei righi da RW1 a RW5, indicare:

• nella colonna 1, il codice che contraddistingue a che titolo i beni sono detenuti:
1 proprietà
2 usufrutto
3 nuda proprietà
4 altro (altro diritto reale, beneficiario di trust, ecc.)
• la colonna 2 deve essere compilata indicando il codice 1 se il contribuente è un soggetto delegato al prelievo o alla movimentazione del conto corrente oppure il codice 2 se il contribuente risulta il titolare effettivo;
• nella colonna 3 il codice di individuazione del bene, rilevato dalla “Tabella codici investimenti all’estero e attività estera di natura finanziaria” posta in APPENDICE al FASCICOLO 2;
• nella colonna 4, il codice dello Stato estero, rilevato dalla tabella “Elenco Paesi e Territori esteri” posta in APPENDICE al FASCICOLO 1; tale codice non è obbligatorio nel caso di compilazione per dichiarare “valute virtuali” (le valute virtuali non sono soggette all’IVAFE in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura “bancaria” (cfr. circolare 2 luglio 2012, n. 28/E);
• nella colonna 5, indicare la quota di possesso (in percentuale) dell’investimento situato all’estero;
• nella colonna 6, il codice che contraddistingue il criterio di determinazione del valore:
1 valore di mercato;
2 valore nominale;
3 valore di rimborso;
4 costo d’acquisto;
5 valore catastale;
6 valore dichiarato nella dichiarazione di successione o in altri atti;
• nella colonna 7, il valore all’inizio del periodo d’imposta o al primo giorno di detenzione dell’attività;
• nella colonna 8, il valore al termine del periodo di imposta ovvero al termine del periodo di detenzione dell’attività. Per i conti correnti e libretti di risparmio va indicato il valore medio di giacenza (vedi istruzioni di colonna 11);
• nella colonna 9, l’ammontare massimo che il prodotto finanziario ha raggiunto nel corso del periodo d’imposta se il prodotto riguarda conti correnti e libretti di risparmio detenuti in Paesi non collaborativi;
• colonna 10, indicare il numero di giorni di detenzione per i beni per i quali è dovuta l’IVAFE (il campo è da compilare solo nel
caso in cui sia dovuta l’IVAFE);
• nella colonna 11, riportare l’IVAFE calcolata rapportando il valore indicato in colonna 8 alla quota e al periodo di possesso. In particolare:
I. applicando al valore indicato in colonna 8, rapportato alla quota e al periodo di possesso, l’aliquota dello 0,20 per cento per i prodotti finanziari diverse dai conti correnti e libretti di risparmio;
II. in misura fissa pari a 34,20 euro, rapportati alla quota e al periodo di possesso, per i conti correnti e libretti di risparmio (codice 1nella colonna 3). In presenza di più conti presso lo stesso intermediario, per la verifica del superamento del limite va calcolato il valore medio di giacenza complessivo, sommando il valore di tutti i conti.
ESEMPIO: due conti correnti presso lo stesso intermediario Conto A possesso 100% 365 giorni valore medio 1.000 euro Conto B possesso 50% 365 giorni valore medio 7.000 euro Totale valore medio = 1.000 + (7.000 x 0,5) = 4.500 euro
Il valore medio di giacenza complessivo (pro quota) è inferiore a 5.000 euro, l’imposta non è dovuta.
In ogni caso il contribuente dovrà compilare il quadro RW ai fini dei soli obblighi di monitoraggio qualora i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero abbiano un valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta superiore a 15.000 euro.
Conto A possesso 50% 365 giorni valore medio 5.000 euro
Conto B possesso 100% 365 giorni valore medio 3.000 euro
Il valore medio di giacenza complessivo (pro quota) è ((5.000 x 0,5) + 3.000) = 5.500 euro, pertanto è dovuta la relativa imposta.
In questo caso vanno compilati due distinti righi del quadro RW e il valore medio da indicare nella colonna 8 di entrambi i righi è “5.500”, mentre nella colonna 11, rigo RW1, relativo al primo conto corrente va indicato “17” dato da ((34,20 * 50% *(365/365)) e nella colonna 11, rigo RW2, relativo al secondo conto corrente va indicato 34,20 euro dato da (34,20* 100%*(365/365));

• nella colonna 14, riportare il credito d’imposta pari al valore dell’imposta patrimoniale versata nello Stato in cui è situato l’immobile o prodotto finanziario. L’importo indicato in questa colonna non può comunque essere superiore all’ammontare dell’imposta dovuta indicata in colonna 11 o 13;

• nella colonna 18, deve essere indicato un codice per indicare la compilazione di uno o più quadri reddituali conseguenti al cespite indicato oggetto di monitoraggio ovvero se il bene è infruttifero. In particolare, indicare:
1 Compilazione quadro RL;
2 Compilazione quadro RM;
3 Compilazione quadro RT;
4 Compilazione contemporanea di due o tre quadri tra RL, RM e RT;
5 Nel caso in cui i redditi relativi ai prodotti finanziari verranno percepiti in un successivo periodo d’imposta ovvero se i predetti prodotti finanziari sono infruttiferi. In questo caso è opportuno che gli interessati acquisiscano dagli intermediari esteri documenti o attestazioni da cui risulti tale circostanza;

• nelle colonne 22 e 23 inserire i codici fiscali degli altri soggetti che a qualsiasi titolo sono tenuti alla compilazione della presente sezione nella propria dichiarazione dei redditi. Nella colonna 24, barrare la casella nel caso i cointestatari siano più di due.

Nel caso in cui sono stati utilizzati più moduli va compilato esclusivamente il rigo RW6 del primo modulo indicando in ciascunodi essi il totale di tutti i righi compilati.

Il rigo RW6 deve essere compilato dal contribuente per determinare l’IVAFE dovuta ed eventualmente da versare per l’anno 2018. In particolare indicare: in colonna 1, il totale dell’imposta dovuta che risulta sommando gli importi determinati nella colonna 15 dei righi compilati nella presente
sezione; in colonna 2, (Eccedenza dichiarazione precedente) riportare l’eventuale credito dell’imposta sul valore delle attività finanziarie possedute all’estero che risulta dalla dichiarazione relativa ai redditi 2017, indicato nella colonna 5 del rigo RX26 del Mod. REDDITI PF 2018; in colonna 3, (Eccedenza compensata modello F24), indicare l’importo dell’eccedenza di IVAFE eventualmente compensata utilizzando
il modello F24; in colonna 4, (Acconti versati), indicare l’ammontare degli acconti dell’IVAFE versati per l’anno 2018 con il modello F24.Per determinare l’IVAFE a debito o a credito effettuare la seguente operazione: col.1 – col.2 + col.3 – col.4Se il risultato di tale operazione è positivo (debito) riportare l’importo così ottenuto nella colonna 5 (Imposta a debito).

In tal caso l’imposta sul valore dell’IVAFE va versata con il modello F24, indicando il codice tributo 4043, con le stesse modalità e scadenze previste per l’Irpef ivi comprese quelle relative alle modalità di versamento dell’imposta in acconto e a saldo. L’imposta non va versata se l’importo di questa colonna non supera 12 euro.

Se il risultato di tale operazione è negativo (credito) riportare l’importo così ottenuto nella colonna 6 (Imposta a credito).

I codici tributo da utilizzare sono:

“4043” denominato “Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 18, DL. n. 201/2011 conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – SALDO

“4047” denominato “Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 18, DL. n. 201/2011 conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – ACCONTO PRIMA RATA” 

“4048” denominato “Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – art. 19, c. 18, DL. n. 201/2011 conv., con modif., dalla L. n. 214/2011, e succ. modif. – ACCONTO SECONDA RATA O ACCONTO IN UNICA SOLUZIONE

(1) 18. A decorrere dal 2012 e’ istituita un’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato.

19. L’imposta di cui al comma 18 e’ dovuta proporzionalmente alla quota e al periodo di detenzione.

20. L’imposta di cui al comma 18 e’ stabilita nella misura dell’1 per mille annuo, per il 2012, dell’1,5 per mille, per il 2013, e del 2 per mille, a decorrere dal 2014, del valore dei prodotti finanziari. Per i conti correnti e i libretti di risparmio l’imposta e’ stabilita in misura fissa pari a quella prevista dall’articolo 13, comma 2-bis, lettera a), della tariffa, parte I, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642. Il valore e’ costituito dal valore di mercato, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenuti i prodotti finanziari, anche utilizzando la documentazione dell’intermediario estero di riferimento per le singole attivita’ e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso.

21. Dall’imposta di cui al comma 18 si deduce, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui sono detenuti i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio.

22. Per il versamento, la liquidazione, l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e i rimborsi nonche’ per il contenzioso, relativamente all’imposta di cui al comma 18 si applicano le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, ivi comprese quelle relative alle modalita’ di versamento dell’imposta in acconto e a saldo.

Criptovalute – Quadro RT

In base all’art. 67 del Tuir, primo comma c-tersono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali le plusvalenze, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valute estere

  • oggetto di cessione a termine
  • o rivenienti da depositi o conti correnti.

Il successivo comma 1-ter specifica che “Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire (euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui.

Quindi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valute estere :

  • oggetto di cessione a termine sono sempre redditi diversi;
  • mediante cessione a pronti sono redditi diversi se rivenienti da depositi e conti correnti solo a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui.

In base alla risoluzione n. 72/E/2016l’Amministrazione Finanziaria asserisce chePer quanto riguarda, la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.”

Una importante indicazione è  contenuta in una risposta (non pubblica) rilasciata dall’Agenzia delle Entrate (Dre Lombardia) a un interpello, il n. 956-39/2018: “Alla luce di quanto precede si ritiene che, ai fini delle imposte sul reddito, delle persone fisiche che detengono bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.
Conseguentemente, le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa salvo generare un reddito diverso qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e del comma 1-ter del medesimo articolo.
Per cessione a pronti si intende una transazione in cui si ha lo scambio immediato di una valuta contro una valuta differente. Il valore in euro della giacenza media in valuta virtuale va calcolato secondo il cambio di riferimento all’inizio del periodo di imposta, e cioè al 1° gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165).

Ai fini Irpef, quindi, l’Amministrazione Finanziaria ha ribadito che le valute virtuali, se detenute al di fuori del regime di impresa, possono generare un reddito diverso tassabile secondo i principi che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali, previsti dall’articolo 67, comma 1-ter del T.U.I.R.

Può  rilevare ogni conversione di criptovalute  realizzata per effetto di una cessione  a pronti se la giacenza media dell’insieme dei “wallet” (portafoglio elettronico, considerato l’equivalente di un deposito tradizionale ai fini dell’articolo 67)  detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi.

La giacenza va calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1° gennaio (1), rilevato sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o in mancanza quello dove ha effettuato la maggior parte delle operazioniLa plusvalenza (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va dichiarata nel quadro RT, Plusvalenze di natura finanziaria, utilizzando il criterio Lifo (2)  in caso di vendite parziali, liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%Il costo, se non documentabile, può essere calcolato dividendo l’importo del bonifico effettuato all’exchanger per il numero di criptovalute acquistate.

Le plusvalenze realizzate per effetto di una cessione di criptovalute a termine costituiscono sempre redditi diversi. Di conseguenza, come tali, devono essere indicati nel quadro RT del modello Unico PF di dichiarazione ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento (Vedi: art. 67 del Tuir, primo comma c-ter): “le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreche’ siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente.

A ns. avviso trovando applicazione l’art. 67 del Tuir, primo comma c-ter) si devono anche considerare i commi 5 e 6 dell’art. 68 del Tuir:

“5. Le plusvalenze di cui alle lettere c) e c-bis), diverse da quelle di cui al comma 4, e c-ter) del comma 1 dell’articolo 67 sono sommate algebricamente alle relative minusvalenze, nonche’ ai redditi ed alle perdite di cui alla lettera c-quater) e alle plusvalenze ed altri proventi di cui alla lettera c-quinquies) del comma 1 dello stesso articolo 67; se l’ammontare complessivo delle minusvalenze e delle perdite e’ superiore all’ammontare complessivo delle plusvalenze e degli altri redditi, l’eccedenza puo’ essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze e le perdite sono state realizzate.

6. Le plusvalenze indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter) del comma 1 dell’articolo 67 sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma od il valore normale dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l’imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi. Nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonche’, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione. Nel caso di acquisto per donazione si assume come costo il costo del donante. ………. Per le valute estere cedute a termine si assume come costo il valore della valuta al cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto di cessione. Il costo o valore di acquisto e’ documentato a cura del contribuente. Per le valute estere prelevate da depositi e conti correnti, in mancanza della documentazione del costo, si assume come costo il valore della valuta al minore dei cambi mensili accertati ai sensi dell’articolo 110, comma 9, nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza e’ realizzata. Le minusvalenze sono determinate con gli stessi criteri stabiliti per le plusvalenze.”

Le cessioni a pronti di criptovalute non generano redditi imponibili salvo la giacenza “media” dei wallet complessivamente detenuti dal contribuente, superi il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. In tal caso, va compilato il quadro RT come previsto per le cessioni a termine.

L’agenzia delle Entrate (Dre Liguria) con la risposta all’interpello n. 903-47/2018 ha ribadito che la detenzione di criptovalute e di token al di fuori dell’attività di impresa, comprese quelle derivanti dalla partecipazione ad Ico (Initial coin offering) generate da un cosiddetto «crowdsale», va sempre monitorata nel quadro RW, mentre ogni transazione in euro non «a pronti», anche generata da quell’attività, produce redditi da dichiarare al quadro RT da assoggettare ad imposta sostitutiva del 26 per cento.

Le istruzioni al quadro RT, quando trattano della determinazione della base imponibile (art. 68 del TUIR) specificano che:

“Per quanto concerne la determinazione della base imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione a termine di valute, si assume come costo il valore della valuta calcolato in base al cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto di cessione.
Nel caso, invece, di cessione a pronti di valute estere prelevate da depositi e conti correnti, la base imponibile è pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione ed il costo della valuta, rappresentato dal cambio storico calcolato sulla base del criterio “L.I.F.O.”, costo che deve essere documentato dal contribuente. qualora non sia possibile determinare il costo per mancanza di documentazione, si deve far riferimento al minore dei cambi mensili determinati con l’apposito decreto ministeriale nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata conseguita.
…………….
Per le valute estere prelevate da depositi e conti correnti si assume come corrispettivo il valore normale della valuta alla data di effettuazione del prelievo.
…………….
Nel caso in cui l’ammontare delle minusvalenze (o perdite) sia superiore a quello delle plusvalenze (o redditi), indicate nella presente sezione, l’eccedenza è portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che tale situazione sia evidenziata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui essa si è verificata.”

Ai fini del pagamento dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. da c-ter del tuir, deve essere utilizzato il codice tributo “1100”. 

(1) cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165: 
la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente sia superiore a 100 milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza e’ stata realizzata. Il valore in lire della giacenza in valuta va calcolato secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, e cioe’ al 1 gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (prelievo), verificando altresi’ che in tale anno la anzidetta giacenza si sia protratta per almeno sette giorni lavorativi continui. Resta inteso che, qualora non risulti integrata la condizione precedentemente individuata, non si rendono deducibili neppure le minusvalenze eventualmente
realizzate.

(2)  Interpello n. 956-39/2018: Si fa presente, inoltre, che ai fini della determinazione di un’eventuale plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la predetta giacenza media, si deve utilizzare il costo di acquisto e che agli effetti della determinazione delle plusvalenze/minusvalenze si considerano cedute per prime le valute acquisite in data più recente (cfr. articolo 67, comma 1-bis, del TUIR).

Criptovalute – Quadro RW

Per la prima volta, le istruzioni al quadro RW, Modello Persone Fisiche 2019 (redditi 2018), riportano che nel quadro RW vanno indicate anche le valute virtuali.

Le istruzioni alla compilazione del quadro RW prevedono che nella tabella dei codici delle attività detenute all’estero occorre indicare,  con il codice 14 (“Tabella codici investimenti all’estero e attività estera di natura finanziaria” posta in appendice alle istruzioni – fascicolo 2), anche le valute virtuali. Sempre le istruzioni riportano che nel caso delle valute virtuali il codice dello Stato estero può non essere indicato.

Larticolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).

Il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’Imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’Imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE).

L’obbligo di monitoraggio non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (l’art. 2 della Legge n. 186 del 2014, modificando l’articolo 4, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ha portato la soglia da 10.000 a 15.000 euro) resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.

Tali soggetti devono indicare la consistenza degli investimenti e delle attività detenute all’estero nel periodo d’imposta;
questo obbligo sussiste anche se il contribuente nel corso del periodo d’imposta ha totalmente disinvestito.

Nonostante l’entrata a regime del Common Reporting Standard (CRS, scambio automatico di informazioni tra amministrazioni finanziarie)  e del FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), il Modello Redditi PF 2019 obbliga ancora alla compilazione del Quadro RW.

L’art. 9, della Legge 6 agosto 2013, n. 97  (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013), sostituendo l’art. 4 del
decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ha esteso l’obbligo di compilazione compilazione del quadro RW ai titolari effettivi delle attività estere, secondo la nozione ricavabile dalla normativa antiriciclaggio (Decreto Legislativo 231/2007, art. 1, comma 2, lettera pp) (1), e dall’art. 20 (2), come modificato dal Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 90). In merito alla figura del titolare effettivo si esprime dettagliatamente la Circolare N. 38/E del 20131.1.1 La figura del titolare effettivo.

La compilazione del quadro RW consente anche di liquidare l’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero) dovuta sugli immobili detenuti all’estero e l’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero) dovuta sulle attività finanziari detenute all’estero.

Per quelle attività, come le partecipazioni in società estere assimilabili alle Srl residenti, soggette al monitoraggio ma non alla liquidazione della IVIE o della IVAFE occorrerà barrare la casella “solo monitoraggio” nella colonna 20.

Con la risposta all’interpello non pubblico 956-39/2018, rilasciato dalla Direzione Regionale della Lombardia lo scorso 22 aprile) ha chiarito che: “Ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990, inoltre, è previsto l’obbligo di compilazione del quadro RW della Modello Redditi – Persone Fisiche, da parte delle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, tra le quali le valute estere.
Come chiarito dalla circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.) sono soggette al medesimo obbligo anche le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 – “Altre attività estere di natura finanziaria”. Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale.
Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno.
Da ultimo, si precisa che le valute virtuali non sono soggette all’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (c.d. IVAFE, istituita dall’articolo 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni), in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura “bancaria” (cfr. circolare 2 luglio 2012, n. 28/E).

Dando seguito alla risoluzione n. 72/E/2016 l’amministrazione conferma, nel rispetto della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale, che anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo nel Quadro RW.

C’è da considerare che la tecnologia blockchain, sulla quale si basano i bitcoin e altre criptovalute, rende, a di poco,  arduo determinare una loro precisa localizzazione geografica.

Le criptovalute sono dematerializzate, non hanno un “emittente” localizzabile in un determinato Stato e non prevedono un intermediario e le loro modalità di archiviazione sono  variegate e modificabili.

Le criptovalute, infatti, sono a-territoriali, non sono né in Italia né all’estero. Si può dire,  che le criptovalute sono nella “rete” (nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.

La dimensione a-territoriale delle criptovalute non può essere assimilata, nella gran parte dei casi, a quella delle attività estere di natura finanziaria. Con la conseguenza che il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate, con il quale sono stati approvati i modelli dichiarativi, risulterebbe in contrasto con la norma primaria di riferimento (articolo 4 del Dl 167/1990). Senza contare che se soltanto dal 2019 (anno d’imposta 20189  le istruzioni al quadro RW includono le valute virtuali tra le attività da indicare nello stesso, potrebbe significare che in passato l’obbligo non sussisteva.

Si può così giungere alla conclusione che l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussista ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.

Tale conclusione appare in linea con l’articolo 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital del 21 novembre 2017, il quale fissa la presunzione che il luogo di detenzione delle valute virtuali sia coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari.

L’indicazione nel quadro RW dovrebbe sussistere solo per le criptovalute per le quali le chiavi private sono gestite dal custodial wallet (In questo caso assume rilevanza la V Direttiva antiriciclaggio, che individua questi soggetti nei «prestatori di servizi di portafogli digitali»), se quest’ultimo risulta soggetto residente o domiciliato all’estero. L’indicazione non avrebbe senso, invece, per le criptovalute gestite attraverso custodial residenti in Italia, venendo a mancare ogni legame con l’estero.

Questa soluzione si coniuga anche con l’aspetto sanzionatorio. Le sanzioni relative al monitoraggio fiscale vengono, infatti, diversificate a secondo del luogo in cui le attività non dichiarate vengono detenute. Se le stesse risultano detenute nei Paesi black list, le sanzioni risultano raddoppiate. Il legame territoriale delle penalità ha una sua coerenza soltanto per le valute virtuali detenute attraverso i prestatori di servizi di portafogli digitali.

Considerando che le criptovalute sono costituite sostanzialmente da un software e che i relativi portafogli elettronici (i cosiddetti wallet) sono su piattaforme di gestione accessibili on line, si ritiene che nel nella colonna 4 del modello RW vada inserito il codice dello Stato Estero in cui ha sede il soggetto che eroga il servizio o il gestore del server.

Le istruzioni al Quadro RW specificano che nella colonna 4 va inserito il codice dello Stato estero, rilevato dalla tabella “Elenco Paesi e Territori esteri” posta in APPENDICE al FASCICOLO 1; tale codice non è obbligatorio nel caso di compilazione per dichiarare “valute virtuali”.

Il modello RW richiede l’indicazione del controvalore delle attività finanziarie detenute, sulla base del provvedimento del direttore delle Entrate del 18 dicembre 2013, emanato ai sensi e per gli effetti del comma 4 del Dl 167/1990 con il quale viene conferito il potere di stabilire «il contenuto della dichiarazione annuale delle attività all’estero nonché, annualmente, il controvalore in euro degli importi in valuta da dichiarare».

In tale provvedimento, per la valorizzazione delle attività finanziarie, viene operato un rinvio ai criteri utilizzati per la determinazione della base imponibile dell’Ivafe, previsti dal comma 20 dell’articolo 19 del Dl 201/2011, ancorché non dovuta.

Il criterio di valorizzazione dell’Ivafe consiste nel «valore di mercato, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenuti i prodotti finanziari (…) e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso».

Le circolari 28/E/2012 e 38/E/2013 sottolineano come tale valore debba essere pari:

  • o al valore di mercato, rilevato al termine del periodo d’imposta o al termine del periodo di detenzione nel luogo in cui esse sono detenute;
  • o al valore nominale, se le attività? finanziarie non sono negoziate in mercati regolamentati;
  • o al valore di rimborso, in mancanza del valore nominale;
  • o al costo d’acquisto, in mancanza del valore nominale e del valore di rimborso.

La nozione di mercati regolamentati è stata individuata dalla circolare 165 del 1998 : “Per quanto riguarda, invece, il riferimento ai mercati regolamentati si ricorda che tale previsione normativa e’ gia’ presente nel TUIR e precisamente negli articoli 9, comma 4, lett. c), 61, comma 3, e 66, comma 1-bis). In tale nozione vanno ricompresi non solo la borsa ed il mercato ristretto, ma ogni altro mercato disciplinato da disposizioni normative; più specificamente, si intende far riferimento ai mercati regolamentati di cui al decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415, nonché a quelli di Stati appartenenti all’OCSE, istituiti, organizzati e disciplinati da disposizioni adottate o approvate dalle competenti autorità in base alle leggi in vigore nello Stato in cui detti mercati hanno sede.“.

Le rilevazioni di prezzo delle criptovalute avvengono in luoghi che non costituiscono:

  • mercati regolamentati, fattore alla base del diniego della Securities and Exchange Commission (Sec)  alla creazione di Exchange Traded Fund (Etf) in criptoattività;
  • un sistema organizzato di negoziazione, avendo rilevazioni, con rilevanti variazioni, su piattaforme private che rilasciano informazioni relative al prezzo non validate e non verificabili.

Le criptovalute non hanno valore nominale e non hanno un valore di rimborso e conseguentemente l’unico criterio oggettivo è costituito dal costo sostenuto per l’acquisto delle stesse.

Pertanto, nelle ipotesi in cui sussiste l’obbligo di indicazione  delle valute virtuali nel quadro RW, il criterio del costo appare l’unico parametro coerente.

Non è stato chiarito se, nel caso delle valute virtuali, l’obbligo di monitoraggio non sussista per i wallet il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro, soglia prevista per i conti correnti e i depositi bancari detenuti all’estero.

Assimilando i wallet a depositi bancari, ai fini dichiarativi,  dovrebbero applicarsi gli stessi limiti di valore.

Di contro si potrebbe sostenere che l’acquisto di criptovalute sarebbe soggetto agli obblighi di monitoraggio anche se di valore inferiore ai 15mila euro (articolo 4, comma 3, Dl 167/1990) in quanto il suddetto limite si rivolge solo a «depositi e conti correnti bancari», mentre la Banca d’Italia (comunicazione del 30 gennaio 2015) ha affermato che le criptovalute non sono valute aventi corso legale (“Le Valute Virtuali  non sono moneta legale e non devono essere confuse con la moneta elettronica“).

(1) pp) titolare effettivo: la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo e’ istaurato, la prestazione professionale e’ resa o l’operazione e’ eseguita

(2) Art. 20 (Criteri per la determinazione della titolarita’ effettiva
di clienti diversi dalle persone fisiche)
1. Il titolare effettivo di clienti diversi dalle persone fisiche coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima istanza, e’ attribuibile la proprieta’ diretta o indiretta dell’ente ovvero il relativo controllo.
2. Nel caso in cui il cliente sia una societa’ di capitali:
a) costituisce indicazione di proprieta’ diretta la titolarita’ di
una partecipazione superiore al 25 per cento del capitale del
cliente, detenuta da una persona fisica;
b) costituisce indicazione di proprieta’ indiretta la titolarita’
di una percentuale di partecipazioni superiore al 25 per cento del
capitale del cliente, posseduto per il tramite di societa’
controllate, societa’ fiduciarie o per interposta persona.
3. Nelle ipotesi in cui l’esame dell’assetto proprietario non
consenta di individuare in maniera univoca la persona fisica o le
persone fisiche cui e’ attribuibile la proprieta’ diretta o indiretta
dell’ente, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le
persone fisiche cui, in ultima istanza, e’ attribuibile il controllo
del medesimo in forza:
a) del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in
assemblea ordinaria;
b) del controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante in assemblea ordinaria;
c) dell’esistenza di particolari vincoli contrattuali che
consentano di esercitare un’influenza dominante.
4. Qualora l’applicazione dei criteri di cui ai precedenti commi
non consenta di individuare univocamente uno o piu’ titolari
effettivi, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le
persone fisiche titolari di poteri di amministrazione o direzione
della societa’.
5. Nel caso in cui il cliente sia una persona giuridica privata, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n.
361, sono cumulativamente individuati, come titolari effettivi:
a) i fondatori, ove in vita;
b) i beneficiari, quando individuati o facilmente individuabili;
c) i titolari di funzioni di direzione e amministrazione.
6. I soggetti obbligati conservano traccia delle verifiche
effettuate ai fini dell’individuazione del titolare effettivo.

Ai sensi dellarticolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 la violazione dell’obbligo di dichiarazione di investimenti all’estero ovvero attivita’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. 

La violazione di cui sopra relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 (individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 (individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. Nel caso in cui la dichiarazione prevista dall’articolo 4, comma 1, sia presentata entro novanta giorni dal termine, si applica la sanzione di euro 258.

Quindi qualora le attività estere di natura finanziaria siano detenute in “paradisi fiscali”, la sanzione è raddoppiata rispetto ai valori ordinari.

Nel caso di asset detenuti in paradisi fiscali opera la presunzione legale per la quale le somme detenute all’estero siano state costituite con redditi non assoggettati a tassazione in Italia; pertanto oltre a prevedere tali sanzioni, l’Agenzia delle Entrate potrà contestare le imposte evase su tali importi (comma 2, art. 12 D.L. n. 78/2009 (1)).

In tal caso, ai sensi dei commi 2-bis e 2-ter art. 12 D.L. n. 78/2009, sono raddoppiate le sanzioni ed i termini di accertamento.

(12. In deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attivita’ di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 10 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tener conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate.

2-bis. Per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, i termini di cui all’ articolo 43, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’ articolo 57, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono raddoppiati.

2-ter. Per le violazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’ articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, riferite agli investimenti e alle attività di natura finanziaria di cui al comma 2, i termini di cui all’ articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono raddoppiati.

I vantaggi del GEIE (Gruppo Europeo di Interesse Economico) ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali

Il primo comma dell’articolo 12 Decreto legislativo del 23/07/1991 n. 240 (Norme per l’applicazione del regolamento n. 85/2137/CEE, relativo all’istituzione di un Gruppo Europeo di Interesse Economico GEIE, ai sensi dell’art. 17 della L. 29 dicembre 1990, n. 428) ha aggiunto  allart. 4 della tariffa, parte prima, Atti soggetti a registrazione in termine fisso. Atti societari, del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la lettera g): atti propri dei gruppi europei di interesse economico euro 168,00 (importo elevato da 168,00 euro a 200,00 come dal secondo comma dell’art. 26 D.L. n. 104 12/09/2013)

Il terzo comma dell’art. 12 del Dlgs. del 23/07/1991 n. 240 stabilisce che:”Gli atti di trasferimento di proprieta’ di beni immobili o costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari sugli stessi, di cui alla lettera g) dell’art. 4 della tariffa, prima parte, del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, scontano l’imposta ipotecaria di trascrizione e l’imposta catastale in misura fissa (€ 200,00, secondo comma dell’art. 26 D.L. n. 104 12/09/2013)”.

Secondo l’interpretazione maggioritaria, gli atti propri del GEIE per i quali si può usufruire dell’imposta di registro in misura fissa, sono quegli elencati nell’art. 4 della tariffa, parte prima,, allegata al T.U. dell’imposta di registro, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e, dunque, costituzioni, aumenti di capitali o patrimonio attuati mediante conferimento di beni mobili o immobili o diritti reali sugli stessi, fusioni, scissioni, trasformazioni, etc…

La nota V posta in calce all’articolo 4 della medesima tariffa, parte prima, prevede che “per gli atti propri dei gruppi europei di interesse economico contemplati alla lettera a), numero 4), si applicano le imposte ivi previste”. Tale norma costituisce un’eccezione rispetto alla previsione generale di cui alla lettera g), che stabilisce, come detto, l’applicazione dell’imposta in misura fissa. Ne consegue che, nella particolare ipotesi in cui un atto proprio del GEIE consista nel conferimento di natanti da diporto o diritti reali di godimento sui medesimi, troveranno applicazione le medesime imposte previste dall’articolo 7 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico.

Ora c’è da considerare che per gli atti di trasferimento di proprieta’ di beni immobili o costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari sugli stessi mentre per l’imposta ipotecaria di trascrizione e l’imposta catastale siamo in presenza di un preciso dettato in base al  terzo comma dell’art. 12 del Dlgs. del 23/07/1991 n. 240, il quale stabilisce che scontano l’imposta ipotecaria di trascrizione e l’imposta catastale in misura fissa, per quanto riguarda l’imposta di registro che grava sui suddetti atti, la misura della stessa è soggetta ad interpretazione.

Il grande vantaggio del GEIE, con riferimento gli atti di compravendita di immobili, consiste nell’applicazione dell’imposta ipotecaria di trascrizione e dell’imposta catastale in misura fissa.

Nel caso di acquisto di beni da un privato, pertanto il GEIE permette un importante risparmio in termini di imposta. Ovviamente tale risparmio viene vanificato nel caso di acquisto assoggettato a IVA.

ll GEIE,  rappresenta un ottima soluzione, per esempio,

  • ove rivesta la funzione di trustee,  in sede di istituzione di un trust per il conferimento di beni immobili e/o registrati, poiché detti conferimenti sconterebbero € 200 di imposta catastale, € 200 di imposta ipotecaria e € 200 di imposta di registro,
  • come intestatario di aziende e/o beni immobili soggetti allo stesso trattamento fiscale.

Un’interpretazione più ampia ricomprende tra gli atti propri dei gruppi europei di interesse economico,  soggetti all’imposta di registro in misura fissa, anche tutti quegli atti che comportano il trasferimento di proprietà di beni immobili o costituzione o trasferimento di diretti reali di godimento sugli stessi.

In pratica, in base a questa interpretazione, per conferire o trasferire a titolo gratuito o oneroso un immobile al GEIE, si pagano solo € 200 di imposta catastale, € 200 di imposta ipotecaria e € 200 di imposta di registro.

Per quanto attiene i GEIE non residenti,

  • essendo il GEIE previsto dall’ordinamento UE
  • non facendo distinzione la normativa nazionale  in oggetto tra GEIE residenti nel territorio dello Stato e non

si ritiene che i vantaggi su esposti ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali possano essere applicati a GEIE non residenti in Italia.

Tassazione degli utili rinvenienti da un GEIE (Gruppo Europeo di Interesse Economico) non residente

L‘art. 40 del Regolamento (CEE) n. 2137/85 del Consiglio del 25 luglio 1985 relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE) recita: “Il risultato delle attività del gruppo è soggetto ad imposta soltanto tramite imposizione a carico dei singoli membri”.

La disciplina fiscale del GEIE, quindi,  è ispirata al principio di trasparenza. Il risultato dell’attività del GEIE , sotto il profilo tributario, non rileva quale reddito del GEIE, bensì quale reddito dei singoli partecipanti, venendo, di conseguenza, tassato in campo agli stessi.

A conferma, l‘art. 21 del Regolamento (CEE) n. 2137/85 dispone: “Il profitti risultanti dalle attività del gruppo sono considerati come profitti dei membri e ripartiti tra questi ultimi secondo la proporzione prevista nel contratto di gruppo o, nel silenzio del contratto, in parti uguali.”

L’art. 11 del Decreto legislativo del 23/07/1991 n. 240 (Norme per l’applicazione del regolamento n. 85/2137/CEE, relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico Geie, ai sensi dell’art. 17 della L. 29 dicembre 1990, n. 428. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1991) recita:
“1. Il GEIE non e’ soggetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche, all’imposta sul reddito delle persone giuridiche e all’imposta locale sui redditi.
2. Il GEIE residente nel territorio dello Stato e quello non residente
avente nello Stato una stabile organizzazione debbono presentare la
dichiarazione dei redditi agli effetti dell’imposta sul reddito delle
persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e
dell’imposta locale sui redditi dovute dai membri del Gruppo, secondo le disposizioni contenute nel titolo I del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, etenere le scritture contabili prescritte nel titolo II del decreto stesso.
3. Il GEIE e’ obbligato altresi’ ad effettuare le ritenute previste nel
titolo III del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed a presentare la
dichiarazione di cui all’art. 7 del decreto stesso.
4. I redditi e le perdite del GEIE, determinati secondo le disposizioni del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre1986, n. 917, sono imputati a ciascun membro, agli effetti delle imposte ivi indicate, indipendentemente dall’effettiva percezione, nella proporzione prevista nel rispettivo contratto di gruppo o, in mancanza, in parti uguali.  Ai fini dell’applicazione della imposte nei confronti dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato si considerano prodotti nel territorio stesso i redditi e le perdite imputati ai membri non residenti.
5. Le ritenute subite dal GEIE sono comunque a titolo di acconto e si
scomputano dall’imposta personale dovuta da ciascun membro.
6. La quota di reddito o di perdita derivante ai soggetti residenti dalla partecipazione in un GEIE non residente nel territorio dello Stato concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o del reddito delle persone giuridiche. Si applicano le disposizioni degli articoli 15 e 92 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.”

Come si vede l’art. 11 del Dlgs. n. 240 del 1991 conferma “la trasparenza fiscale” del GEIE.

In base al comma 6 la quota di reddito o di perdita derivante ai soggetti residenti dalla partecipazione in un GEIE estero concorre, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o del reddito delle persone giuridiche, alla formazione del reddito complessivo.

Più complesso è l’esame dell’aspetto dichiarativo dei redditi derivanti dalla partecipazione ad un GEIE non residente nel territorio dello Stato.

Avuto riguardo al Modello REDDITI Persone Fisiche 2019,
Periodo d’imposta 2018, le istruzioni al Quadro RH,  Redditi di partecipazione in società di persone e assimilate, dispongono che:  il Quadro RH deve essere utilizzato dalle persone fisiche, membri di Gruppi Europei di Interesse Economico (GEIE) residenti nel territorio dello stato o, se non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato. I redditi o le perdite sono imputati a ciascuno dei membri del Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE) nella proporzione prevista dal contratto di gruppo o, in mancanza, in parti uguali.

Le istruzioni al Modello REDDITI Persone Fisiche non considerano esplicitamente in nessun punto il caso di redditi rinvenienti da GEIE no residenti in Italia e privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Le istruzioni alla Sez. I-A – Redditi di capitale – dispongono che: “la prima sezione deve essere utilizzata per la dichiarazione degli utili che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuentederivanti dalla partecipazione al capitale di società ed enti esteri di ogni tipo percepiti nel 2018, senza avere riguardo al momento in cui è sorto il diritto a percepirli.

Le istruzioni alla Sez. I-A del Quadro RL considerano gli utili che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente sono  in accordo con il comma 6 dell’art. 11 del Dlgs. n. 240 del 1991 che dispone che la quota di reddito o di perdita derivante ai soggetti residenti dalla partecipazione in un GEIE non residente nel territorio dello Stato concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o del reddito delle persone giuridiche.

Invece c’è un’evidente contraddizione considerando  il momento impositivo.

L’art. 11 del Dlgs. n. 240 del 1991  dispone che i redditi e le perdite del GEIE sono imputati a ciascun membro, indipendentemente dall’effettiva percezione, nella proporzione prevista nel rispettivo contratto di gruppo o, in mancanza, in parti uguali,  invece le  istruzioni alla Sez. I-A, considerano gli utili percepiti, senza avere riguardo al momento in cui è sorto il diritto a percepirli.

Quindi ricomprendere i considerati redditi tra quelli di cui alla Sez. I-A  porterebbe ad un’evidente disparità di trattamento, al riguardo del momento impositivo, tra i redditi delle GEIE residenti, o non residenti, ma con stabile organizzazione in Italia, e quelli di GEIE estere prive di stabile organizzazione in Italia.

Le istruzioni alla Sez. V del quadro M – Redditi di capitale soggetti ad imposizione sostitutiva – dispongono che nella Sezione V vanno indicati i redditi di capitale di fonte estera, diversi da quelli che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente (che vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I), percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti.

Quindi, in base ad un parere personale, l’unico Quadro del Modello Redditi Persone Fisiche che sembrerebbe rispondere al dettato del comma 6 del Dlgs. 240/1991 è il Quadro RH.

Alla medesima conclusione si potrebbe giungere considerando la “trasparenza fiscale” della GEIE dettata dall’art. 40 del Regolamento (CEE) n. 2137/85.

Per quanto attiene il reddito delle società di capitali gli utili derivanti da un GEIE non residente nel territorio dello Stato, a nostro parere, non possono essere ricompresi tra quelli di cui all’art. 89, terzo comma, del TUIR, dichiarati tra le variazioni in diminuzione del reddito al rigo 47 del quadro RF, in quanto si andrebbe contro il dettato del sesto comma dell’art. 11 del Dlgs. n. 240 del 1991 che prevede esplicitamente che la quota di reddito derivante ai soggetti residenti dalla partecipazione in un GEIE non residente nel territorio dello Stato concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche.

Conduit companies – Tassazione degli utili provenienti da società residenti in stati a fiscalità privilegiata

Un esempio di international tax planning “elusivo”, è l’utilizzo di conduit companies (definite anche strutture-ponte)società utilizzate per convogliare flussi di reddito da Stati ad alta tassazione a Stati a bassa tassazione. Sostanzialmente una società residente in uno Stato “a” controlla una società residente nello Stato “b”, non acquistando partecipazioni, ma creando un’intermediaria ad hoc nello stato “c”, la conduit company, di solito “sfruttando” le “opportunità” che derivano dai trattati bilaterali tra i vari stati e dai diversi livelli di tassazione.

Nell’ambito delle conduit companies possiamo distinguere:

  • le direct conduits;
  • le stepping stones, nella “stepping stones structure” vengono create due società-ponte e lo “schema” prevede quattro Stati invece di tre. Di solito la prima conduit sostiene alte spese sotto forma di interessi, royalties e management fees a favore di una seconda società conduit ubicata in un altro Stato che beneficia di un regime fiscale di tassazione favorevole per queste tipologie di ricavi. In questo modo si realizza una forma di international tax planning   data dalla combinazione di una attività di formazione dei profitti ove si trova la società stepping stone e di estrazione del reddito nello Stato ove si trova la società che paga interessi, royalties e altre spese;
  • le holding structures in cui le partecipazioni societarie vengono strutturate entro soglie che consentano di “sfruttare al meglio” le norme fiscali dei vari Stati.

Poniamo che uno Stato colpisca gli utili provenienti da Stati a fiscalità privilegiata, una conduit company, posizionata in un terzo Stato a fiscalità ordinaria ,  potrebbe essere utilizzata per “convogliare” gli utili ed aggirare la norma.

A questo proposito esaminiamo l’articolo 89 del T.U.I.R..

Il comma 2  dell’articolo 89 del T.U.I.R. prevede che gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione,anche nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare (con la dicitura “utili distribuiti”, si prevede, ai fini IRES, l’imposizione per cassa).

Ai sensi del comma 3modificato dall’art. 5 del  Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 (in vigore dal 12/01/2019), verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo,  l’esclusione da tassazione nella misura del 95%, si applica agli utili provenienti  dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, solo se:

  • diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
  • o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b).

Il  D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, art. 36, modificando gli artt. 47 e 89 del T.U.I.R. ha introdotto in questi la dicitura “utili provenienti“.

La locuzione “provenientiriconduce a tassazione integrale anche gli utili percepiti dal soggetto residente indirettamente tramite una o più sub-holding intermedie.

Il regime di tassazione integrale è applicabile, quindi, non solo agli utili distribuiti direttamente dai soggetti residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata ma anche a quelli generati nei Paesi a fiscalità privilegiata che giungono alla società residente in Italia tramite una o più società intermedie, qualificabili come conduit companies.

Si considerano utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, gli utili percepiti a fronte di:

  • partecipazioni dirette, anche non di controllo;
  • partecipazioni indirette, anche non di controllo, attraverso il controllo su una società localizzata in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario.

Quindi, ai sensi dell’art. 89, comma 3,  , la tassazione integrale degli utili trova applicazione in relazione ai dividendi percepiti da soggetti residenti in caso di partecipazioni indirette, anche non di controllo, in società localizzate in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato, attraverso l’esercizio del controllo su una società interposta (la conduit company) localizzata in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario.

La formulazione dell’art. 89  ha una spiccata finalità antielusiva, imponendo  l’individuazione della reale provenienza degli utili, percepiti da soggetti residenti in Italia, provenienti, anche indirettamente, da soggetti residenti in  Stati o territori a regime fiscale privilegiato, e, quindi, colpendo le triangolazioni che utilizzano società intermedie che operano come mere conduit companies.

La circolare n. 28/E dell’Agenzia delle Entrate del  4 agosto 2006, a proposito delle modifiche apportate agli artt. 47 e 89 del T.U.I.R . dal D.L. n. 223 del 4 luglio 2006 al paragrafo 24, si esprime come segue: “In base alla formulazione originaria della norma, la menzionata disciplina risultava applicabile in tutte le ipotesi in cui gli utili di partecipazione erano comunque “provenienti” da società residenti in Paesi c.d. black list. In altri termini, ai fini della integrale sottoposizione a tassazione degli utili distribuiti da  soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata, non aveva rilievo la circostanza che le partecipazioni fossero detenute direttamente o per il tramite di altre società, quali anelli intermedi della catena partecipativa. Il c.d. correttivo IRES aveva modificato la norma in esame, prevedendo che la tassazione integrale dei predetti utili operasse con esclusivo riferimento a quelli “corrisposti” dalle partecipate residenti nei c.d paradisi fiscali. Tale modifica aveva ridotto il campo di applicazione dell’art. 47, comma 4, del TUIR, limitandolo alle sole remunerazioni corrisposte direttamente dalle partecipate che avevano fruito di regimi fiscali privilegiati residenti ed escludendo le remunerazioni comunque provenienti dalle predette società, ma distribuite tramite società intermedie (sub-holding) residenti in Stati a fiscalità ordinaria.
L’art. 36, comma 3, del decreto, per contrastare facili manovre elusive, ha ripristinato l’originaria formulazione della norma. Per effetto di tale modifica, pertanto, il regime di tassazione integrale riguarderà non solo gli utili e i proventi equiparati distribuiti direttamente dai soggetti residenti nel paradiso fiscale, ma anche quelli – da essi generati – che fluiscono tramite società intermedie. Al riguardo, si precisa che la medesima disciplina continua a rendersi applicabile sia agli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società o enti soggetti all’imposta sul reddito delle società, sia ai proventi dei titoli e degli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a) del TUIR. Si ritiene, infatti, che il sintetico riferimento letterale agli “utili”, ora contenuto nel comma 4 dell’art. 47 del TUIR, debba essere interpretato – per motivi di coerenza sistematica – nella sua accezione più vasta e generale. Tale conclusione è indirettamente confermata dalla relazione illustrativa al provvedimento che valorizza, in relazione al nuovo testo normativo, la sostituzione del termine “corrisposti” con “provenienti”.
E’ appena il caso di sottolineare che la modifica in discorso trova
applicazione – per effetto del rinvio all’art. 47 del TUIR operato dal successivo art. 59 – anche relativamente agli utili e ai proventi equiparati percepiti da persone fisiche nell’esercizio di impresa e a quelli percepiti da società di persone commerciali. Inoltre, la modifica apportata all’art. 89, comma 3, del TUIR dal nuovo comma 4-bis, introdotto nel decreto dalla legge di conversione, chiarisce che il menzionato regime di integrale concorso alla formazione del reddito riguarda anche gli utili e i proventi equiparati “provenienti” da società e enti di ogni tipo residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, percepiti da soggetti IRES.
In sede di applicazione della norma, con particolare riguardo alla ipotesi di partecipazioni indirette tramite sub-holding, si rende necessario individuare, nel complesso degli utili distribuiti, quelli generati dalle partecipate nel “paradiso”.
Per un corretto inquadramento del problema, occorre tenere presente che la disposizione svolge, fondamentalmente, una funzione di chiusura del sistema contro le triangolazioni sui dividendi che consentono ai soci di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali attraverso società intermedie, sostanzialmente interposte.
Ne consegue che – in presenza di partecipazioni in società residenti in paesi a fiscalità privilegiata indirettamente detenute – il regime di integrale tassazione si rende applicabile ai soli utili che – in coerenza con il dato testuale della disposizione – si possono considerare da esse “provenienti”.
Nelle ipotesi estreme di sub-holding intermedie qualificabili come mere conduit company, l’intero utile da esse distribuito potrà infatti ritenersi generato nel paradiso fiscale in cui è localizzata la società operativa. Del pari, sarà possibile individuare – ragionevolmente – la fonte degli utili erogati da holding statiche o da società che non svolgono una effettiva attività economica, limitandosi alla mera detenzione delle partecipazioni.

La circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E dell’Agenzia delle Entrate, al paragrafo 8, specifica che:”Come evidenziato nella circolare 4 agosto 2006, n. 28/E, par. 24,l’utilizzo del termine “provenienti” (introdotto nei menzionati articoli 47 e 89 dal citato D.L. n. 223 del 2006) risponde all’esigenza di evitare triangolazioni sui dividendi che consentano ai soci residenti in Italia di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali attraverso società intermedie (c.d. conduit companies), sostanzialmente interposte, localizzate in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata.
Appare evidente l’intenzione del legislatore nazionale di comprendere
nell’ambito applicativo degli articoli 47, comma 4 e 89, comma 3, del Tuir
anche gli utili distribuiti da una società conduit europea, ma provenienti da Paesi o territori a fiscalità privilegiata.
Ciò posto, con specifico riferimento alle società, è da ritenere che il
descritto regime di imposizione integrale si applichi anche nel caso di
dividendi distribuiti da società conduit “figlie” – ai sensi della Direttiva del
Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435/CE (cosiddetta direttiva madri e figlie) – della società italiana che percepisce i dividendi, quando la fattispecie considerata ricade nell’ambito applicativo dell’articolo 1, comma 2, della citata direttiva.
La norma appena richiamata prevede, infatti, che la direttiva madri e
figlie “ non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi”.
Al riguardo, peraltro, si ricorda che la sentenza della Corte di Giustizia
relativa alla causa C-196/04 (c.d. Cadbury-Schweppes) tende a riconoscere (punto 55) la legittimità delle norme antiabuso nazionali nei limiti in cui le stesse abbiano “lo scopo di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili” societari.
Nella predetta pronuncia viene, altresì, precisato che “la constatazione
dell’esistenza di una tale costruzione, richiede (…) oltre ad un elemento
soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale, elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà distabilimento (n.d.r. vale a dire l’esercizio effettivo di un’attività economica in un altro Stato membro) non è stato raggiunto” (cfr. sentenza CadburySchweppes, punto 64).
Tale indagine non può che essere condotta caso per caso coerentemente con il consolidato orientamento giurisprudenziale comunitario
secondo il quale “per accertare se l’operazione che si intende effettuare abbia come obiettivi principali la frode o l’evasione fiscali le autorità nazionali competenti devono procedere, in ciascun caso, ad un esame globale della detta operazione” (cfr. Corte di Giustizia, sentenza Leur-Bloem del 17 luglio 1997,C-28/95, punto 48B).”

La circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E, al paragrafo 8.1, prosegue specificando che: L’applicazione del regime di tassazione integrale degli utili black list non presenta particolari problemi operativi nell’ipotesi di holding intermedie – qualificabili come mere conduit company – che posseggono partecipazioni esclusivamente in società black list, per le quali l’intero utile distribuito è generato nel paradiso fiscale in cui sono localizzate le partecipate.
Diversamente, nell’ipotesi di holding o società conduit che detengono
partecipazioni anche in società residenti in Paesi considerati a fiscalità
ordinaria o che non si limitano alla mera detenzione di partecipazioni ma
svolgono esse stesse un’effettiva attività economica, si pone il problema di
individuare la fonte degli utili erogati.
Al riguardo, si osserva in via preliminare che ai fini in esame rilevano
solo i proventi qualificabili come utili ai sensi della legislazione fiscale interna e ciò sia con riguardo ai flussi reddituali che intercorrono tra la conduit company e il socio residente in Italia, sia in relazione ai rapporti intercorrenti tra la società intermedia e le società black list (cfr. per ulteriori dettagli la circolare 18 gennaio 2006, n. 4/E).
Ciò posto, nel caso in cui la società conduit distribuisca poste del suo
patrimonio netto formate anche con utili provenienti da partecipate non black list ovvero da utili conseguiti mediante lo svolgimento della propria attività economica, diversa dalla mera detenzione di partecipazioni, si osserva che, ai fini dell’individuazione della quota parte di utili provenienti da paradisi fiscali, nell’ordinamento tributario nazionale manca un principio di carattere generale che regoli la distribuzione, l’utilizzo, la ricostituzione o la ripartizione delle riserve.
In mancanza di un criterio espresso previsto dal legislatore, si ritiene che
la società conduit debba documentare di volta in volta la provenienza degli utili (se da Stati o territori a fiscalità privilegiata, o meno) distribuiti al socio residente. In altri termini, in base ad una ricostruzione analitica della provenienza degli utili distribuiti al socio residente dalla conduit “white”, si renderà applicabile il regime di imposizione integrale nel caso di utili di provenienza black list, ovvero di parziale imponibilità per gli utili non provenienti da territori o Stati a fiscalità privilegiata.
Resta inteso che la provenienza dell’utile percepito deve essere adeguatamente documentata dal contribuente. In mancanza di adeguato supporto documentale, si ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza black list.”

Qualora il socio che detiene la partecipazione sia una persona fisica trova applicazione l’art. 47 del T.U.I.R. che, ai sensi della modifica apportata dall’art. 3 del Decreto legislativo del 14/09/2015 n. 147 (Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese) recitava che ” … si considerano provenienti da societa’ residenti in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali societa’ o di partecipazioni di controllo anche di fatto, diretto o indiretto, in altre societa’ residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in societa’ residenti in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili.”

Quindi l’art. 47, comma 4,  del T.U.I.R., come modificato dal D. Lgs. 147/2015, disponeva che

  • nel caso di una partecipazione diretta del socio residente in Italia in una società residente o localizzata in Stati o territori a fiscalità privilegiata operava la la tassazione integrale dei dividendi;
  • nel  caso di partecipazione indiretta, il socio residente doveva essere titolare di una partecipazione di controllo (ex articolo 2359 cod. civ.) detenuta nella conduit company estera percepiente gli utili da società localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

La Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 4 agosto 2016, al paragrafo 3.1.1 tratta del requisito del controllo:” La nuova formulazione degli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del TUIR,
distingue, quindi, tra partecipazioni dirette e partecipazioni indirette nella società che sono localizzate in Paesi a regime fiscale privilegiato.
Solo nel caso di partecipazione indiretta è richiesto il requisito del controllo delle società estere che si interpongono nella catena partecipativa.
La scelta, come si evince dalla Relazione illustrativa all’articolo 3 del decreto internazionalizzazione, si basa sul grado di conoscibilità della provenienza degli utili del socio residente in Italia. In presenza di un rapporto di controllo, infatti, al pari del caso di partecipazione diretta, il socio è artefice o almeno consapevole dell’investimento nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata.
Peraltro, il dettato normativo fa genericamente riferimento alla sussistenza di un “controllo anche di fatto, diretto o indiretto, in altre società residenti all’estero”, senza specificare riferimenti normativi da cui ricavare una nozione più puntuale.
Nel silenzio del legislatore, si ritiene che la nozione di controllo rilevante ai fini dell’applicazione della norma sia quella dell’articolo 2359, primo e secondo comma,del codice civile.
Pertanto, assumono rilevanza sia il controllo in termini di diritti di voto,
computando anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta, sia il controllo integrato da un’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali.
Resta inteso che il regime di integrale tassazione è, in ogni caso, subordinato a una qualche partecipazione a cui consegue la percezione di utili da parte del socio residente in Italia, a prescindere dal tipo di controllo configurabile.
In ipotesi di più società estere, il requisito del controllo deve riscontrarsi per ciascuna delle società interposte, non essendo necessario, invece, che sia integrato rispetto alla società residente nello Stato o territorio a regime fiscale privilegiato.
In altri termini, qualora il socio italiano eserciti il controllo su tutte le società intermedie e l’ultima società interposta detenga una partecipazione di minoranza in quella soggetta al regime fiscale preferenziale, i dividendi provenienti da quest’ultima
sono comunque sottoposti a tassazione integrale in Italia.

L’art. 5 del  Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 ha sostituito con una nuova formulazione il comma 4 dell’art. 47 ed il comma 3 dell’art. 89 del T.U.I.R. 

Ai sensi del comma 4 dell’art. 47, così come modificato: “….concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1; a tali fini, si considerano provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali soggetti o di partecipazioni di controllo, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, in società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili…….

Quindi, per quanto attiene al reddito delle persone fisicheconcorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, relativi al possesso di partecipazioni di controllo, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, in società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili.

Per quanto attiene al reddito delle persone giuridiche, riprendendo in esame l’art. 89,  ai sensi del modificato comma 3, per gli utili provenienti  dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)

  • l’esclusione da tassazione nella misura del 95%  si applicherà se sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione,  che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera b))
  • non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3,  che il soggetto non residente svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera a)).
  • in mancanza del rispetto delle condizioni contemplate dalle lettere a) e b) del comma 2 dell’articolo 47-bis gli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d),  residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti  per il 100%.

L’Agenzia delle entrate con il principio di diritto n. 20 del 31.12.2018, si è pronunciata nel senso che: “Il regime di imposizione integrale dei dividendi di cui all’articolo 89, comma 3, del TUIR trova applicazione anche nei confronti degli utili distribuiti da una società conduit “figlia”, ai sensi della c.d. Direttiva madre-figlia n. 90/435/CE, ma “provenienti” da società partecipate residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, quando la fattispecie considerata ricade
nell’ambito applicativo dell’articolo 1, paragrafi 2, 3 e 4 della citata direttiva. Ai fini della disapplicazione del citato articolo 89, comma 3, del TUIR, l’esame condotto dall’Amministrazione fiscale italiana non può essere limitato all’applicazione di criteri generali predeterminati, ma dovrà essere effettuato caso per caso. L’analisi specifica si basa
piuttosto che su semplici quantificazioni del carico fiscale subìto dagli utili percepiti dalla “madre” italiana, sulla circostanza che la partecipazione nel soggetto localizzato nel tax haven non sia detenuta tramite la società figlia allo scopo di evitare artificiosamente che i
redditi siano tassati in maniera congrua.”

(1) Art, 47 bis, comma 1, del T.U.I.R.:

1. I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia. A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.

 

 

 

Società di capitali: tassazione degli utili di fonte estera – Articolo 89 del T.U.I.R., modificato dal D.Lgs. 142/2018

L’ Articolo 89 del T.U.I.R., in vigore dal 12/01/2019 (come modificato dal Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 Articolo 5), al riguardo della tassazione degli utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato e percepiti da società di capitali recita:

.……………………….

2. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, anche nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare. …………………..

………………………..

3. Verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, l’esclusione del comma 2 si applica agli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d),………………., se diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1), o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b). Gli utili provenienti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, …………………. non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrata, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3, la sussistenza della condizione di cui al comma 2, lettera a), del medesimo articolo; in tal caso, e’ riconosciuto al soggetto controllante, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d’imposta ai sensi dell’articolo 165 in ragione delle imposte assolte dall’impresa o ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, l’ammontare del credito d’imposta di cui al periodo precedente e’ computato in aumento del reddito complessivo. . ……………………….

Il comma 2 dell’articolo 89, del T.U.I.R., riferendosi agli “utili distribuiti” prevede, ai fini IRES, l’imposizione per cassa dei dividendi rivenienti dalle  società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) e d) .

Sempre il comma 2  prevede che essi concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti solo per il 5%, in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95% del loro ammontare.

Ai sensi del comma 3,  verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo,  l’esclusione da tassazione nella misura del 95%, si applica agli utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, solo se:

  • diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
  • o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b).

La locuzione “provenienti” riconduce a tassazione integrale anche gli utili percepiti dal soggetto residente indirettamente tramite una o più sub-holding intermedie, sostanzialmente interposte.

Il regime di tassazione integrale è applicabile, quindi, non solo agli utili distribuiti direttamente dai soggetti residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata ma anche a quelli generati nei Paesi a fiscalità privilegiata che giungono alla società residente in Italia tramite una o più società intermedie, qualificabili come conduit companies.

Il comma 1 dell’articolo 47-bis, esclude dai regimi fiscali privilegiati gli Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni.

Ragion per cui agli utili provenienti  dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti in Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni,  si applica l’esclusione da tassazione nella misura del 95% (prevista dall’articolo 89, comma 2, del T.U.I.R.).

Nei rimanenti casi occorrerà verificare se gli utili provengano da   società e enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti o localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1).

Quindi, ai sensi del primo comma del 47-bis del T.U.I.R., si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, 

  • nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167, cioè che i soggetti controllati non residenti siano assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia (Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono indicati i criteri per effettuare, con modalità semplificate, la verifica della presente condizione, tra i quali quello dell’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile)
  • in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia.  A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.

Ove gli utili provengano da   società e enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1),  l’esclusione da tassazione nella misura del 95% (prevista dall’articolo 89, comma 2, del T.U.I.R.), si applicherà se sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b), cioè sia dimostrato che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 1 del 47-bis.

Gli utili provenienti da   società e enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrata, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3, la sussistenza della condizione di cui al comma 2, lettera a), del medesimo articolo, cioè che il soggetto non residente svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.

in tal caso, e’ riconosciuto al soggetto controllante, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d’imposta ai sensi dell’articolo 165 in ragione delle imposte assolte dall’impresa o ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, l’ammontare del credito d’imposta di cui al periodo precedente e’ computato in aumento del reddito complessivo.

Quindi in sintesi agli utili provenienti  dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica

    • residenti in Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni,  si applica l’esclusione da tassazione nella misura del 95%
    • residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
      • l’esclusione da tassazione nella misura del 95%  si applicherà se sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione,  che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera b))
      • non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3,  che il soggetto non residente svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera a)).
      • in mancanza del rispetto delle condizioni contemplate dalle lettere a) e b) del comma 2 dell’articolo 47-bis gli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d),  residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti  per il 100%;

Gli utili in esame concorrono a formare il reddito complessivo come componenti del reddito d’impresa.

Ai fini della dichiarazione dei redditi, nel Modello Redditi Società di Capitali,  ai fini dell’esclusione di cui al secondo comma dell’art. 89, vanno considerati nelle poste del reddito d’impresa del Quadro RF tra le voci variazioni in diminuzione.

Per quanto attiene l’aspetto dichiarativo nel Modello Società di Capitali , Redditi 2018, degli utili derivanti dalla partecipazione in società estere, gli artt. del TUIR presi in considerazione sono nella formulazione anteriore all’entrata in vigore (periodo d’imposta successivo al 31/12/2018) del D.Lgs. 29/11/2018 n.142.

Nel quadro RF, dedicato alla determinazione del reddito d’impresa, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF47, colonna 3, vanno indicati gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, lettera d), del TUIR, esclusi da tassazione, ai sensi dell’art. 89 del TUIR.

Nel quadro RF, dedicato alla determinazione del reddito d’impresa, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF47, colonna 3, va indicato il 95 per cento dell’importo percepito nel periodo d’imposta. l’imposta estera  può essere detratta dall’IRES per un ammontare pari al 5% del totale. Per la determinazione del Credito d’Imposta vedi il Quadro CE, il risultato del Rigo CE 26 va riportato nel Quadro RN al rigo RN 13.

Al riguardo della  determinazione del Credito d’Imposta, l’art. 165, comma 10, del TUIR stabilisce che se un reddito estero concorre solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente.

Di conseguenza, l’imposta estera in caso di utili di fonte estera può essere detratta dall’IRES per un ammontare pari al 5% del totale in caso di utili tassati in misura ridotta.

Abbiamo visto che, sempre ai sensi del terzo comma dell’art. 89 del TUIR, gli utili provenienti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato , a condizione che sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello, l’effettivo svolgimento, da parte del soggetto non residente, di un’attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento, nel quadro RF, dedicato alla determinazione del reddito d’impresa, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF47, colonna 3, va indicato il 50 per cento dell’importo percepito nel periodo d’imposta e tale importo va indicato anche in colonna 2. in tal caso, è riconosciuto al soggetto controllante residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d’imposta ai sensi dell’articolo 165 in ragione delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, l’ammontare del credito d’imposta di cui al periodo precedente è computato in aumento del reddito complessivo.  Per la determinazione del Credito d’Imposta vedi il Quadro CE, il risultato del Rigo CE 26 va riportato nel Quadro RN al rigo RN 13.

(1) Art, 47 bis, comma 1, del T.U.I.R.:

1. I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia. A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.

L’Esterovestizione

Con il termine esterovestizione (foreign dressed companies) si intede indicare una società o un gruppo societario che utilizzando tecniche di pianficazione fiscale internazionale, costituisce società o stabili organizzazioni all’estero. Generalmente in Stati a più basso livello di tassazione, al fine di evadere le imposte nello Stato in cui sono residenti.

Quindi in caso di esterovestizione siamo in presenza ad un fenomeno di evasione fiscale.

Ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir una società di capitali è considerata fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 gg.) ha mantenuto

  • la sede legale
  • o la sede dell’amministrazione
  • o l’oggetto principale

nel territorio dello Stato.

Come si vede, tali criteri  sono fra loro alternativi, è sufficiente il realizzarsi di uno solo di essi affinché la società o l’ente vengano sottoposti a tassazione in Italia, in base del noto principio della tassazione su base mondiale dei redditi (c.d. worldwide principle,  principio che l’Italia, così come la maggior parte dei Paesi occidentali, ha adottato nel proprio diritto tributario).

L’Amministrazione finanziaria italiana applica il principio secondo il quale i redditi del soggetto residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti.

Ai fini dell’esterovestizione, le disposizioni dettate per le società dall’art. 73 T.U.I.R. attribuiscono particolare rilevanza non solo al dato formale della sede legale della società, situata in Italia, ma anche a quelli sostanziali, relativi

  • all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione
  • od allo svolgimento, in Italia, dell’oggetto principale dell’impresa.

Per quanto attiene l’oggetto principale dell’impresa si devono considerare i commi 4 e 5 dell’art. 73 del T.U.I.R.:

4. L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente e’ determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività’ essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.

5. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente e’ determinato in base all’attività’ effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti. 

Per quanto attiene all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione occorrerà fare riferimento alla situazione di fatto e individuare il luogo dove effettivamente gli amministratori della società esercitano l’attività amministrativa in modo stabile.

L’articolo 4, paragrafo 3 (1, modello di Convenzione OCSE (2017 update), per evitare fenomeni di doppia imposizione, prevede che, nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto:

  • del luogo di direzione effettiva (place of effective management);
  • del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted);
  • di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

L’Italia, formulando specifiche osservazioni all’articolo 4, paragrafo 3, del modello Ocse di Convenzione (Commentaries on the articles of the Model of Tax Convention), Observations on the Commentary (2), ha introdotto una particolare riserva per effetto della quale, nel determinare la residenza fiscale di una società, oltre alla “sede della direzione effettiva”, dovrà essere attribuita estrema rilevanza anche al luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa.

In base a quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE (3. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da un individuo è residente di entrambi gli Stati contraenti, si considera residente solo del Stato in cui si trova la sua sede di direzione effettiva) e dalla sentenza n. 136/1998 della Corte di cassazione, la sede effettiva della società deve considerarsi:

il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.

Quindi, posto che il criterio della sede legale ha natura prettamente formale per stabilire se una società estera è fiscalmente residente in Italia, occorre analizzare, da un punto di vista sostanziale, i criteri di collegamento con il territorio dello Stato:

  • sede dell’amministrazione
  • e oggetto principale.

L’onere della prova grava sull’Amministrazione finanziaria che, nell’ambito della propria attività ispettiva, dovrà dimostrare che la società è fittiziamente estera.

Anche sulla base del consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per individuare la residenza fiscale di una società o di un ente estero, occorre fare riferimento al criterio della “sede effettiva”.

La sede dell’amministrazione, contrapposta alla sede legale, coincide con la “sede effettiva” dell’impresa estera, intesa come il luogo dove:

  • hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente;
  • si convocano le assemblee.

La sede effettiva può essere definita come quel luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente, il luogo ove si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente, nonché i rapporti economici che il medesimo intrattiene con i terzi.

Per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori:

  •  la sede statutaria;
  • il luogo dell’amministrazione centrale;
  •  il luogo di riunione dei dirigenti societari;
  • il luogo in cui si adotta la politica generale di tale società.

Possono rilevare anche altri elementi:

  •  il luogo di riunione delle assemblee generali;
  • di tenuta dei documenti amministrativi e contabili;
  • di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie e bancarie.

La quinta Sez. Civile della Corte di cassazione,con la sentenza n. 14527/2019 del 28.05.2019 , si è espressa proprio su un caso di esterovestizione societaria, con riferimento all’importanza del luogo ove vengono formalizzate le delibere assembleari e societarie, si è pronunciata affermando che l’effettiva amministrazione di una società si svolgeva nello stato estero ove avevano luogo i consigli di amministrazione e le assemblee dei soci e dove la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari ai fini dello svolgimento delle attività di amministrazione e gestione

Ma, per una disamina completa del fenomeno dell’esterovestizione non si può prescindere da un’attenta lettura dei commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 del T.U.I.R. introdotti dal  D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella l. 4.8.2006, n. 248.

5-bis. Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

5-ter. Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’articolo 5, comma 5.

Il comma 5-bis con la dicitura “salvo prova contraria” introduce una sostanziale inversione dell’onere della prova sulla esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società estere il cui controllo risulti riconducibile, anche in via indiretta, a soggetti italiani.

Quindi , in sintesi, ai sensi del comma 5-bis la società estera si considera, salvo prova contraria, “esterovestita” se, in alternativa, siamo in presenza di una delle seguenti fattispecie:

  • è controllata, anche indirettamente da soggetti residenti in Italia;
  • è  amministrata da soggetti residenti residenti in Italia.

Il comma 5-bis ha introdotto una presunzione relativa che il contribuente può superare, dimostrando che si tratti di una collocazione sostanziale e non puramente formale.

Dovrà essere il contribuente a portare prove a proprio favore per dimostrare l’effettiva attività svolta all’estero.

l’Agenzia delle entrate, con la circolare 28/E/2006, punto 8 (3), tratta delle norme introdotte  dal D.L. 223/2006.

La circolare ha precisato che in applicazione della norma in oggetto, il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento prevede per le società e gli enti residenti

Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od
atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.

Ad esempio, sotto il profilo sostanziale, dovrà essere provato  che:

  • Gli insediamenti produttivi/commerciali all’estero sono effettivi ed esistono delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;
  • Esiste autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero (c.d. country manager).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43809/2015, relativa alla contestazione di esterovestizione di una struttura societaria di gruppo collocata in Lussemburgo titolare di alcuni marchi ha  sottolineato tre concetti:

  • la costruzione di puro artificio;
  • la finalità prevalente di elusione;
  • la libertà di scelta fra carichi fiscali diversi,

evidenziando il principio in base secondo il quale se non sussiste costruzione artificiosa non può esistere abuso.

Secondo i Giudici di legittimità nel caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, c.c., per stabilire ove è posta la sede amministrativa della società, entra in gioco il concetto della direzione e coordinamento.

La sede di direzione effettiva non può essere individuata semplicemente con il luogo da cui partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative laddove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, a tal fine bisognerà invece appurare che la società estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponde ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità all’atto costitutivo o allo statuto.

Per stabilire, dunque, la natura artificiosa o meno della società estera si potrà fare riferimento ai criteri indicati a livello interno dall’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Infatti, se un ufficio ha i connotati per configurare una stabile organizzazione esso potrà essere valutato anche come luogo di effettivo esercizio di attività di impresa. Ciò in quanto il giudice non può adottare una interpretazione che vada a limitare la libertà di stabilimento, in quanto nel principio costituzionale che la disciplina l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni.

Occorrerà solo valutare se l’ufficio corrisponde ad una costruzione di puro artificio volta a lucrare benefici fiscali oppure no.

Secondo i supremi giudici il vantaggio fiscale è indebito non perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, ma lo è solo se è ottenuto mediante costruzioni non aderenti alla realtà.

In conclusione, quindi, il contribuente in sede contenziosa potrà far valere il principio secondo cui, in ipotesi di controllo ex articolo 2359 c.c., l’esterovestizione non dipende da impulsi gestionali o direttive amministrative impartite dalla controllante italiana alla controllata estera, ma dal fatto che quest’ultima non sia una costruzione di puro artificio.

In tal senso il contribuente potrà fare riferimento alla semplice nozione di stabile organizzazione contenuta nell’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Altro aspetto da considerare è la rilevanza IVA dell’esterovestizione. L’art. 4 DPR 633/1972 prevede che tutte le attività imprenditoriali svolte in Italia sono ivi assoggettate ad imposizione.

Sulla base della normativa attualmente vigente si può ipotizzare che tutte le operazioni che la potenziale esterovestita ha posto in essere invece di essere ipotetiche operazioni intracomunitarie o territorialmente non rilevanti siano da sottoporre ad IVA in Italia.

Ne consegue che tutte le suddette operazioni potrebbero essere ricondotte a cessioni e/o prestazioni nazionali soggette ad IVA, con il corollario di conseguenti sanzioni amministrative e penali.

Vanno  attentamente valutate le eventuali conseguenze, sotto il profilo penale tributario, che l’estorovestizione comporta e se si è in presenza di un’evasione fiscale internazionale o di una  mera elusione fiscale.

Tale aspetto assume particolare evidenza nella considerazione che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, restando possibile solo l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

Ai sensi dell’articolo 10-bis L. 212/2000configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi fiscali determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Nella maggior parte dei casi la fattispecie penalmente rilevante nei casi in cui venga accertata l’esistenza di una società esterovestita è il delitto di omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni fiscali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (4.

In sintesi, quando l’impresa ha sede all’estero, ma la maggior parte dell’attività si svolge in Italia, in presenza di una fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale, con, di fatto, attività svolta in italia, la dichiarazione dei redditi va fatta in Italia, altrimenti, al superamento del limite  di cui al comma 1 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 74/2000 si configura il reato di evasione fiscale.

(1)  3. Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be a resident only of the State in which its place of effective management is situated. the competent authorities of the Contracting States shall endeavour to determine by mutual agreement the Contracting State of which such person shall be deemed to be a resident for the purposes of the Convention, having regard to its place of effective management, the place where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant factors.

(225. As regards paragraphs 24 and 24.1, Italy holds the view that the place where the main and substantial activity of the entity is carried on is also to be taken into account when determining the place of effective management of a person other than an individual.

(3(…….. Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione delle società in esame. Si tratta, infatti, di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri
di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.
La norma prevede, in definitiva, l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue
l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società. In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddette esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.

…………………

8.3 Prova contraria
Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od
atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.

…………………)

(4Articolo 5 D.Lgs. n. 74/2000 – Omessa dichiarazione.

  1. E’ punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila.
  2.  Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.