Al fine di contrastare l’evasione fiscale internazionale la direttiva n. 2014/107/UE (DAC 2) nonché gli Accordi sottoscritti in applicazione della Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa e i Paesi membri dell’OCSE del 1988, come modificata nel 2010, prevedono lo scambio automatico di informazioni finanziarie a fini fiscali secondo uno standard comune di comunicazione, il Common Reporting Standard (CRS).
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DIRETTIVA 2014/107/UE (DAC 2) – scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale
Con la legge n. 95/2015 l’Italia ha recepito quanto disposto dalla direttiva n. 2014/107/UE (c.d. DAC2), del 9 dicembre 2014 recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.
Al fine di dare piena attuazione allo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale, il Ministero dell’Economia e delle finanze ha emanato il D.M. 28 dicembre 2015, cui hanno fatto seguito diversi provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate.
I Sistemi di Tassazione nel Mondo
Avuto riguardo al tipo di tassazione potremmo dividere gli Stati in 3 categorie:
- Paesi che hanno una tassazione mondiale del reddito (c.d. “worldwide taxation principle“);
- Paesi che hanno una tassazione del reddito nello Stato della fonte;
- Paesi che hanno una tassazione su base di cittadinanza. In questa ultima categoria rientrano solo gli Stati Uniti e l’Eritrea.
Generalmente i sistemi a tassazione territoriale sono di origine anglosassone mentre quelli di origine worldwide sono di stampo continentale europeo.
La worldwide taxation stabilisce che tutti i residenti in un dato paese devono pagare le tasse su tutte le fonti di reddito, sia quelle che hanno origine nel territorio dello Stato che quelle originate fuori dal territorio dello Stato. Questo tipo di tassazione è la più diffusa ed è applicata dalla maggioranza degli Stati europei.
Secondo la tassazione del reddito nello Stato della fonte un soggetto fiscalmente residente paga le imposte solo sul reddito generato entro i confini del paese dove egli è residente.
L’obiettivo del sistema territoriale è quello di attirare aziende straniere sul proprio territorio.
Malta, Regno Unito, Irlanda e Portogallo adottano in Europa questo tipo di tassazione. Paesi vicini che hanno una tassazione simile sono Georgia e Libano. Poi ci sono Hong Kong, Malesia, Tailandia, Libano, Panama, Paraguay, Belize ecc..
Ovviamente da tener presente che le regole cambiano di Paese in Paese ed i requisiti per accedere a questo tipo di tassazione (esclusione dalla tassazione dei redditi prodotti fuori dai confini nazionali) sono tra loro differenti e si applicano a differenti categorie di soggetti.
La Tassazione su base di cittadinanza è il sistema meno diffuso al mondo perché applicato solo negli USA e in Eritrea. In base a tale sistema un cittadino americano paga le tasse negli USA anche se è residente in un paese straniero.
La maggior parte degli Stati quindi applica i primi due tipi di tassazione: quella cosiddetta “worldwide” e quella del reddito nello Stato della fonte, con una differenza sostanziale: la tassazione worldwide viene applicata a soggetti fiscalmente residenti mentre quella territoriale viene applicata a soggetti fiscalmente residenti e non.
Al fine dell’applicare della tassazione del reddito nello Stato della fonte, con riferimento a soggetti non residenti, le leggi nazionali devono:
- individuare le fonti di reddito domestiche che costituiscono base imponibile per i soggetti non residenti;
- stabilire le regole che determinano l’ammontare del reddito che viene considerato derivare nell’ambito della giurisdizione di tale Stato.
La modalità di tassazione illimitata dei redditi alla fonte si applica, in genere, qualora questi ultimi:
- derivino da proprietà immobiliari, ubicate nello Stato della fonte;
- nel caso di utili realizzati da una stabile organizzazione di una impresa ubicata nello Stato della fonte;
- nel caso di remunerazioni derivanti da contratti di lavoro dipendente nell’ambito del settore privato per attività esercitata nello Stato della fonte (secondo i trattati fiscali, in genere applicati solo se il percipiente è presente nello Stato per più di 183 nell’ambito di un periodo di 12 mesi).
L’accavallarsi dei due sistemi di tassazione provoca spesso e volentieri la cosiddetta doppia tassazione internazionale in cui lo stesso reddito viene tassato due volte: la prima sulla base della residenza fiscale (Country of Residence) e la seconda sulla base della fonte del reddito (Country of Source). Le Convenzioni contro le doppie imposizioni intervengono, ove esistenti e non sempre, a sanare il fenomeno
Ai fini pratici la tassazione territoriale ( Hong Kong, Malesia, Tailandia, Georgia, Libano, Malta, Panama, Paraguay, Belize ecc.) permette di abbattere la tassazione per chi opera su scala internazionale.
La Bulgaria con un’imposizione personale e aziendale al 10% è certamente un sistema worldwide molto vantaggioso.
I sistemi worldwide sono più semplici dal un punto di vista della architettura fiscale, in quanto generalmente hanno un impianto normativo più chiaro e definito a livello internazionale, e presentano minori costi di gestione.
Tassazione del reddito nello Stato della fonte
Quando si parla di redditi prodotti all’estero da parte di un soggetto fiscalmente residente in italia la regola generale di tassazione, stabilita dal combinato degli articoli 2 e 3 del DPR n. 917/86, è quella di tassazione mondiale del reddito (c.d. “worldwide taxation principle“). In base a questa regola devono essere assoggettati ad imposizione in Italia tutti i redditi percepiti, compresi quelli esteri.
Questo principio di tassazione è alternativo alla tassazione del reddito nello Stato della fonte.
In realtà esiste anche il principio della tassazione su base di cittadinanza, ma è il sistema meno diffuso al mondo perché applicato solo negli USA e in Eritrea.
Secondo il principio della tassazione nello Stato della fonte, è soggetto a imposizione in uno Stato il reddito che trae origini da fonti ubicate nella sua giurisdizione, indipendentemente dal fatto che questo reddito sia attribuibile a soggetti residenti o non residenti.
Al fine dell’applicare del principio, con riferimento a soggetti non residenti, le leggi nazionali devono:
- individuare le fonti di reddito domestiche che costituiscono base imponibile per i soggetti non residenti;
- stabilire le regole che determinano l’ammontare del reddito che viene considerato derivare nell’ambito della giurisdizione di tale Stato.
La modalità di tassazione illimitata dei redditi alla fonte si applica, in genere, qualora questi ultimi:
- derivino da proprietà immobiliari, ubicate nello Stato della fonte;
- nel caso di utili realizzati da una stabile organizzazione di una impresa ubicata nello Stato della fonte;
- nel caso di remunerazioni derivanti da contratti di lavoro dipendente nell’ambito del settore privato per attività esercitata nello Stato della fonte (secondo i trattati fiscali, in genere applicati solo se il percipiente è presente nello Stato per più di 183 nell’ambito di un periodo di 12 mesi).
La tassazione nello Stato della fonte illimitata avviene con la presentazione di una dichiarazione dei redditi ed Il soggetto non residente, persona fisica o giuridica, è personalmente responsabile per l’imposta da assolvere.
Il problema, nel caso di applicazione della tassazione nello Stato della fonte in maniera illimitata, può essere dato dal fatto che le regole che stabiliscono l’obbligo fiscale non sono o sono insufficientemente stabilite. Ad esempio, solo pochi Stati prevedono una definizione di stabile organizzazione secondo la legge interna (il concetto viene in genere definito nell’ambito di trattati fiscali sulla doppia imposizione). Inoltre, in caso di presenza di una definizione, questa può variare di Stato in Stato o ci possono essere differenze, anche significative, fra le norme interne e quelle di altri Stati.
La tassazione limitata dei redditi nello Stato della fonte si verifica, in genere, nel caso di applicazione di una ritenuta sui dividendi erogati da una società residente nello Stato della fonte a favore di una società madre non residente o a una serie di soci investitori non residenti (ovviamente i profitti realizzati dalla società sono pienamente tassabili nello Stato della fonte poiché la società sussidiaria è residente in tale Stato).
Tale forma di tassazione si applica anche nel caso di interessi e royalties pagati a soggetti non residenti.
La tassazione nello Stato della fonte limitata viene generalmente applicata mediante ritenute alla fonte a titolo di imposta. Il soggetto che distribuisce i dividendi e che paga interessi o royalties (ovvero la società o una banca) deve operare la ritenuta, in genere, applicandola all’importo lordo del reddito ed il carico impositivo viene sostenuto dal percipiente straniero.
Una volta classificato un reddito attribuibile a soggetti non residenti nell’ambito delle categorie di reddito tassabili nello Stato della fonte, è necessario stabilire la “allocazione del reddito“, cioè le regole che determinano la parte imponibile attribuibile allo Stato della fonte, regole che possono comportare rilevanti discrepanze fra Stati, nonché fenomeni di doppia imposizione.
Il reddito che è tassabile nello Stato di residenza del percipiente (ovvero sulla base del principio della tassazione del reddito su base mondiale) può essere tassato anche nello Stato della fonte, sulla base di norme nazionali.
Quindi è importante determinare entro quali limiti ed al verificarsi di quali condizioni, secondo le norme interne, le norme bilaterali o una combinazione di queste, il reddito sia presumibilmente derivare da quello Stato ed essere assoggettato a tassazione limitata.
Le regole della fonte di natura interna sono generalmente basate su presunzioni di tre tipi:
- un reddito deriva da uno Stato se è corrisposto da un residente di quello Stato (pay rule).
- un reddito trae origine nello Stato in cui si trovano i beni a cui sia da ricondursi il pagamento di un prezzo per il relativo utilizzo (per esempio, il diritto all’utilizzo di un brevetto) (use-rule);
- combinazione delle regole di cui ai punti precedenti.
Ogni tipo di pagamento potrebbe essere assoggettato a ritenuta a titolo di imposta e, quindi, le ritenute possono essere applicate a un ampio spettro di pagamenti, fra cui:
- dividendi,;
- interessi;
- royalties ;
- onorari per assistenza tecnica o per serviz;
- management fees;
- onorari per consulenze.
Questi elementi di reddito normalmente acquisiscono la caratteristica di reddito di impresa per il percipiente se percepiti da una società.
Ciò non evita, tuttavia, che lo Stato della fonte, in ambito transnazionale, riclassifichi tali redditi, ai fini impositivi, in una diversa categoria (a meno che il percipiente non abbia una stabile organizzazione nello Stato della fonte in cui viene allocato il reddito in questione).
Affinché una società non residente sia assoggettata a imposizione o le sia applicata una ritenuta, è necessario che una certa fonte di reddito sia dislocata o presunta essere tale nello Stato della fonte.
I criteri per l’individuazione della fonte, in base delle norme interne dei vari Stati, sono vari:
- per i dividendi, secondo le norme stabilite dalla maggior parte degli Stati, la fonte è il luogo di residenza della società che distribuisce i dividendi (pay rule).
Negli Stati Uniti è anche rilevante determinare dove la società che distribuisce i dividendi ha formato i propri utili.
Se una società statunitense, nei tre anni precedenti alla distribuzione dei dividendi ha guadagnato almeno l’80% del proprio reddito da fonti estere, solo la parte di dividendi attribuibile al reddito formato negli Stati Uniti è assoggettabile a ritenuta su dividendi del 30%.
Di contro, i dividendi di una società non statunitense sono assoggettati al 30% di ritenuta statunitense se il 25% o più del proprio reddito, formatosi negli ultimi tre anni precedenti alla distribuzione di dividendi a soci non statunitensi, è effettivamente connesso ad un’attività o un commercio svolti negli Stati Uniti. - per gli interessi la fonte, di solito, è il luogo di residenza del soggetto erogante gli interessi.
Altri criteri possono essere quelli dello Stato ove viene utilizzato il finanziamento da cui scaturisce il pagamento dell’interesse, del luogo ove viene pagato l’interesse, oppure del luogo ove il soggetto erogante può dedurre gli interessi passivi erogati. - per le royalties la fonte, di solito, è il luogo di residenza del soggetto che paga le royalties.
Un altro criterio, valido per es. negli Stati Uniti d’America, è quello relativo allo Stato in cui vengono utilizzati i diritti o beni immobili da cui derivano i pagamenti delle royalties o dei canoni di locazione.
Un ulteriore criterio, valido per es. in Francia, è quello dello Stato in cui il soggetto pagante può dedurre i pagamenti delle royalties, ovvero dove le royalties sono pagate. - Regole similari, per quanto riguarda il riconoscimento della fonte, possono applicarsi agli onorari per assistenza tecnica, per servizi e consulenza professionale.
Questi tipi di reddito pagati a società non residenti sono tassabili, quando pagati a soggetti non residenti, in un certo numero di stati asiatici (India, Malesia, Pakistan) e in America Latina (Argentina e Brasile.
Di solito, ciò comporta, nell’applicazione pratica, delle problematiche in quanto, secondo la maggior parte dei trattati bilaterali le ritenute non possono essere applicate, a meno che il trattato non contenga clausole particolari, a questo genere di redditi.
Gli Stati della fonte, sebbene tale pratica non sia compatibile con i trattati stipulati in conformità dal modello Ocse, tendono a salvaguardare i propri diritti impositivi assimilando questo tipo di pagamento, ai fini del trattato, alla royalties.
Il principio di tassazione nello Stato della fonte può determinare una doppia imposizione qualora lo Stato della residenza non riconosca i diritti dell’altro Stato a tassare determinati redditi e qualora sostenga che, secondo le sue norme interne, non vi è fonte di reddito nell’altro Stato.
Il trattamento delle plusvalenze che derivano dalla vendita di un immobile nel Regno Unito, da parte di un soggetto non residente nel Regno Unito, è un tipico esempio di pianificazione fiscale basato sulla discrepanza delle regole della fonte del reddito.
Infatti tali plusvalenze non vengono riconosciute dalla legislazione del Regno Unito quali fonte di reddito tassabile in capo ad un soggetto non residente. Quindi, nell’ipotesi in cui il proprietario di un immobile sia residente in uno Stato che, quale misura interna per l’eliminazione della doppia imposizione, riconosca l’esenzione per i redditi di fonte straniera, avremmo l’assenza di imposizione sia nello Stato della fonte (Regno Unito), sia nello Stato della residenza del venditore.
Ovviamente è necessaria un’attenta pianificazione fiscale che valuti, con riferimento ai metodi di eliminazione della doppia imposizione, non solo l’obbligo fiscale nello Stato della fonte, ma anche quello nello Stato di residenza del contribuente.
Criptovalute – IVA
La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 22 ottobre 2015 (causa C-264/14), ha stabilito che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso.
I giudici lussemburghesi hanno annoverato tali operazioni tra quelle «relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio» di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112. Muovendo da tale assunto, l’agenzia delle Entrate con la risoluzione 72/E del 2016, ha stabilito che tali operazioni sono esenti Iva, in base all’articolo 10, comma 1, n. 3 del Dpr 633/1972.
In questa stessa prospettiva, si muove la prima sentenza di un giudice italiano in tema di criptovalute (sentenza. 195/2017) del Tribunale di Verona che equipara l’acquisto di criptovalute a un contratto di investimento.
Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA)
L’accordo intergovernativo FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), operativo a partire dal 1° luglio 2014, è volto a contrastare l’evasione fiscale, realizzata da cittadini e residenti statunitensi mediante conti intrattenuti presso istituzioni finanziarie italiane e da residenti italiani mediante conti intrattenuti presso istituzioni finanziarie statunitensi, tramite lo scambio automatico di informazioni finanziarie.
Il Competent Authority Arrangement è un accordo amministrativo tra le autorità fiscali italiane e statunitensi per rendere operativo l’accordo FATCA IGA. In esso sono contenute le regole operative necessarie per la trasmissione/ricezione delle informazioni tra i due Paesi.
(Vedi: LEGGE 18 giugno 2015 , n. 95, Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti d’America finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad applicare la normativa F.A.T.C.A. (Foreign Account Tax Compliance Act) , con Allegati, fatto a Roma il 10 gennaio 2014, nonché disposizioni concernenti gli adempimenti delle istituzioni finanziarie italiane ai fini dell’attuazione dello scambio automatico di informazioni derivanti dal predetto Accordo e da accordi tra l’Italia e altri Stati esteri)
Gli Stati Uniti non hanno aderito allo Standard CRS.
Vedi pagine web Agenzia delle Entrate: https://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/schede/comunicazioni/consultazione+documenti+fatca/scheda+informativa+consultazione+documenti+fatca
Vedi pagine web dell’Internal Revenue Service (IRS): https://www.irs.gov/businesses/corporations/foreign-account-tax-compliance-act-fatca
Vedi la lista delle nazioni aderenti: https://www.treasury.gov/resource-center/tax-policy/treaties/pages/fatca.aspx
Criptovalute – Quadro RW – Quadro RT
L‘articolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).
L’obbligo di monitoraggio non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (art. 2 della Legge n. 186 del 2014); resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.
Ora si pone il problema sulla qualificazione delle criptovalute.
L’acquisto di criptovalute sarebbe soggetto agli obblighi di monitoraggio anche se di valore inferiore ai 15mila euro (articolo 4, comma 3, Dl 167/1990) in quanto il suddetto limite si rivolge solo a «depositi e conti correnti bancari», mentre la stessa Banca d’Italia (comunicazione del 30 gennaio 2015) ha affermato che le criptovalute non sono valute aventi corso legale (“Le Valute Virtuali non sono moneta legale e non devono essere confuse con la moneta elettronica“).
Gli obblighi di monitoraggio sussistono solo per i beni “esteri”.
Ora c’è da considerare che la tecnologia blockchain, sulla quale si basano i bitcoin e altre criptovalute, rende, a di poco, arduo determinare una loro precisa localizzazione geografica.
Le criptovalute sono dematerializzate, non hanno un “emittente” localizzabile in un determinato Stato e non prevedono un intermediario e le loro modalità di archiviazione sono variegate e modificabili.
Le criptovalute, infatti, sono a-territoriali, non sono né in Italia né all’estero. Si può dire, che le criptovalute sono nella “rete” (nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.
Si può così giungere alla conclusione che l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussista ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.
L’indicazione nel quadro RW può sussistere solo per le criptovalute per le quali le chiavi private sono gestite dal custodial wallet, se quest’ultimo risulta soggetto residente o domiciliato all’estero. L’indicazione non avrebbe senso, invece, per le criptovalute gestite attraverso custodial residenti in Italia, venendo a mancare ogni legame con l’estero.
Fondamentale è il criterio di valorizzazione e , per quanto disposto dalla circolare n. 28/E del 2 luglio 2012 (al paragrafo 2.3, Base imponibile dell’IVAFE ), per le criptovalute dovrebbe sempre valere il criterio residuale del costo di acquisto (“nell’ipotesi in cui manchi sia il valore nominale sia il valore di rimborso la base imponibile è costituita dal valore di acquisto dei titoli”) in quanto le criptovalute non sono una valuta avente corso legale; non sono investimenti aventi una quotazione in un mercato regolamentato e non hanno né un valore nominale, né un valore di rimborso.
Una importante indicazione è contenuta in una risposta (non pubblica) rilasciata dall’agenzia delle Entrate (Dre Lombardia) a un interpello, il n. 956-39/2018: “i bitcoin, e in generale le criptovalute, vanno monitorati nel quadro RW del modello Redditi PF 2018 se detenute al di fuori del circuito degli intermediari residenti“.
Dando seguito alla risoluzione n. 72/E/2016 l’amministrazione conferma, nel rispetto della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale, che anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo nel Quadro RW.
Ai fini Irpef, l’Amministrazione richiama le conclusioni della risoluzione 72/E ribadendo che le valute virtuali, se detenute al di fuori del regime di impresa, possono generare un reddito diverso tassabile secondo i principi che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali, previsti dall’articolo 67, comma 1-ter del T.U.I.R..
Può rilevare ogni conversione di bitcoin realizzata per effetto di una cessione a pronti se la giacenza media dell’insieme dei “wallet” (portafoglio elettronico, considerato l’equivalente di un deposito tradizionale ai fini dell’articolo 67) detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi.
“Art. 67, comma 1-ter, del TUIR: Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui.”
La giacenza va calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1° gennaio (1), rilevato sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o in mancanza quello dove ha effettuato la maggior parte delle operazioni. La plusvalenza (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va dichiarata nel quadro RT, Plusvalenze di natura finanziaria, utilizzando il criterio Lifo (2) in caso di vendite parziali, liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%. Il costo, se non documentabile, può essere calcolato dividendo l’importo del bonifico effettuato all’exchanger per il numero di criptovalute acquistate.
Ai fini Ivafe, in senso opposto all’assimilazione tra wallet e depositi sopra accennata, l’Agenzia precisa che le criptovalute non sono soggette a tassazione in quanto l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura “bancaria”.
Nel documento si precisa che l’investimento in criptovalute va monitorato utilizzando, ai fini della conversione in euro, il cambio al 31 dicembre (o alla data di vendita), rilevato sul sito utilizzato per l’acquisto, e il codice 14 «altre attività estere di natura finanziaria» in colonna 3.
Le plusvalenze realizzate per effetto di una cessione di criptovalute a termine costituiscono sempre redditi diversi. Di conseguenza, come tali, devono essere indicati nel quadro RT del modello Unico PF di dichiarazione ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento (Vedi: art. 67 del Tuir, primo comma c-ter): “le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreche’ siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente.”
Le cessioni a pronti di criptovalute non generano redditi imponibili salvo la giacenza “media” dei wallet complessivamente detenuti dal contribuente, superi il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. In tal caso, va compilato il quadro RT come previsto per le cessioni a termine
L’agenzia delle Entrate (Dre Liguria) con la risposta all’interpello n. 903-47/2018 ha ribadito che la detenzione di criptovalute e di token al di fuori dell’attività di impresa, comprese quelle derivanti dalla partecipazione ad Ico (Initial coin offering) generate da un cosiddetto «crowdsale», va sempre monitorata nel quadro Rw, mentre ogni transazione in euro non «a pronti», anche generata da quell’attività, produce redditi da dichiarare al quadro Rt da assoggettare ad imposta sostitutiva del 26 per cento.
(1) cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165:
la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente sia superiore a 100 milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza e’ stata realizzata. Il valore in lire della giacenza in valuta va calcolato secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, e cioe’ al 1 gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (prelievo), verificando altresi’ che in tale anno la anzidetta giacenza si sia protratta per almeno sette giorni lavorativi continui. Resta inteso che, qualora non risulti integrata la condizione precedentemente individuata, non si rendono deducibili neppure le minusvalenze eventualmente
realizzate.
(2) Interpello n. 956-39/2018: Si fa presente, inoltre, che ai fini della determinazione di un’eventuale plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la predetta giacenza media, si deve utilizzare il costo di acquisto e che agli effetti della determinazione delle plusvalenze/minusvalenze si considerano cedute per prime le valute acquisite in data più recente (cfr. articolo 67, comma 1-bis, del TUIR).
Criptovalute – Interpello n. 956-39/2018
INTERPELLO
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
QUESITO
Il contribuente è [•].
Nel corso dell’anno 2013 ha acquistato alcuni bitcoin, su un sito “exchanger”, e li ha depositati su un proprio address privato.
Il contribuente rappresenta di disporre di un prezzo medio di acquisto approssimativo (di circa xxx euro) in quanto non ha conservato copia delle transazioni di acquisto e, allo stato attuale, il sito “exchanger” è chiuso.
Nel corso del 2017, il contribuente ha utilizzato parte dei bitcoin detenuti per acquistare xxx kg di oro da investimento su un sito internet (intermediario estero) che consente l’acquisto di oro direttamente tramite bitcoin.
L’oro era inizialmente depositato a nome dell’intermediario estero presso un depositario estero, con sede in Svizzera.
Il contribuente ha, successivamente chiesto il trasferimento a proprio nome dell’oro acquistato, che è rimasto presso il depositario estero.
L’istante rappresenta che, in precedenza, ha già presentato istanza di interpello n. xxx-y/2017 e xxx-yyyy/2017, in merito alla tassazione delle operazioni di cambio di bitcoin con euro.
Con la presente istanza, il contribuente chiede se l’acquisto dell’oro con i bitcoin genera una plusvalenza fiscalmente rilevante.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
Il contribuente, anche sulla base delle precedenti riposte della Direzione Regionale della Lombardia, ritiene che l’operazione di vendita di bitcoin in cambio di oro non debba essere assoggettata a tassazione.
Il contribuente intende, invece, indicare l’oro depositato in Svizzera nel quadro RW della propria Dichiarazione Redditi Persone fisiche 2018.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
In “attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006”, è stato adottato il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90, in vigore dal 4 luglio 2017.
L’articolo 1 del suddetto decreto legislativo ha sostituito, tra l’altro, l’articolo 1 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 introducendo la nozione di “valuta virtuale”.
In particolare, il novellato articolo 1, comma 2, lettera qq), del decreto legislativo n. 231 del 2007, definisce “valuta virtuale” “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi è trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
In altri termini, in base a tale definizione, il legislatore riconosce normativamente: – l’utilizzo delle valute virtuali come strumento di pagamento alternativo a quelli tradizionalmente utilizzati nello scambio di beni e servizi; – definisce tale “strumento di pagamento” quale “rappresentazione digitale di valore”, “trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
In materia, la Scrivente con la risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E ha fornito chiarimenti sostanzialmente in linea con la citata normativa.
Nel citato documento di prassi è stato precisato che il bitcoin è una tipologia di moneta “virtuale” utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una Autorità monetaria, la cui circolazione si fonda su un principio di accettazione volontaria da parte degli operatori privati.
Le valute virtuali hanno due fondamentali caratteristiche.
In primo luogo, esse non hanno natura fisica, bensì digitale, essendo create, memorizzate e utilizzate attraverso dispositivi elettronici (ad esempio, pc e smartphone) e vengono conservate in “portafogli elettronici” (c.d. wallet).
Inoltre, le stesse sono liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento senza bisogno dell’intervento di terzi.
Più nello specifico, il wallet, in essenza, è una coppia di chiavi crittografiche di cui:
(i) la chiave pubblica, comunicata agli altri utenti, rappresenta l’indirizzo a cui associare la titolarità delle valute virtuali ricevute;
(ii) la chiave privata, mantenuta segreta per garantire la sicurezza delle valute associate, consente di trasferire valute virtuali ad altri portafogli.
Esistono differenti tipologie di wallet, classificati in base a criteri diversi tra i quali quelli più rilevanti si basano sulla tecnologica del mezzo di conservazione (i.e. paper, hardware, desktop, mobile, web), sulla connettività alla rete dell’ambiente in cui sono archiviate le chiavi (i.e. hot wallet e cold wallet) e sul controllo o meno della chiave privata da parte dell’utente (custodial/non custodial wallet).
In secondo luogo, le valute virtuali sono emesse e funzionano grazie a dei codici crittografici ed a complessi calcoli algoritmici. In particolare, i bitcoin vengono generati grazie alla creazione di algoritmi matematici, tramite un processo di mining (letteralmente “estrazione”) e i soggetti che creano e sviluppano tali algoritmi sono detti miner.
Lo scambio dei predetti codici criptati tra gli utenti (user), operatori sia economici che privati, avviene per mezzo di un’applicazione software.
Per utilizzare i bitcoin, gli utenti devono entrarne in possesso: – estraendoli; – acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale; – accettandoli come corrispettivo per la vendita di beni o servizi.
Gli user utilizzano le valute virtuali, in alternativa alle valute tradizionali, principalmente come mezzo di pagamento per regolare gli scambi di beni e servizi ma anche per fini speculativi attraverso piattaforme di negoziazione on line (c.d. “exchanger”) che consentono lo scambio di bitcoin (o altre valute virtuali) con altre valute tradizionali sulla base del relativo tasso di cambio (ad esempio, è possibile scambiare bitcoin con euro al tasso BTC/EURO).
Il mercato delle valute virtuali, infatti, è un mercato estremamente volatile che presenta quindi forti oscillazioni al rialzo o al ribasso. Approfittando di tale volatilità può essere realizzata un’attività speculativa a breve termine. Alcuni siti, sui quali è possibile effettuare negoziazioni di bitcoin, consentono di eseguire anche contratti per differenza (Contract for Difference – CFD).
Chi pone in essere questi contratti non compra, materialmente, bitcoin ma sottoscrive un contratto finanziario derivato denominato CFD.
Sul punto, si precisa che l’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza – TUF) individua tra i contratti finanziari per differenza, i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a 5 transazioni commerciali e regolati per differenza, anche mediante operazioni di rinnovo automatico (c.d. “roll-over”).
Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative alle valute virtuali, come precisato nella citata risoluzione n. 72/E del 2016, non si può prescindere da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14.
Pertanto, in ossequio al predetto orientamento giurisprudenziale, in via di prassi è stato chiarito che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce un’attività rilevante oltre agli effetti dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap, soggetta agli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione e di segnalazione previsti dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.
Alla luce di quanto precede si ritiene che, ai fini delle imposte sul reddito, delle persone fisiche che detengono bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.
Conseguentemente, le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa salvo generare un reddito diverso qualora la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e del comma 1-ter del medesimo articolo.
Per cessione a pronti si intende una transazione in cui si ha lo scambio immediato di una valuta contro una valuta differente. Il valore in euro della giacenza media in valuta virtuale va calcolato secondo il cambio di riferimento all’inizio del periodo di imposta, e cioè al 1° gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto di tassazione (cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165).
Resta inteso che, qualora non risulti integrata la condizione 6 precedentemente individuata, non si rendono deducibili neppure le minusvalenze eventualmente realizzate.
Tenuto conto che manca un prezzo ufficiale giornaliero cui fare riferimento per il rapporto di cambio tra la valuta virtuale e l’euro all’inizio del periodo di imposta, il contribuente può utilizzare il rapporto di cambio al 1° gennaio rilevato sul sito dove ha acquistato la valuta virtuale o, in mancanza, quello rilevato sul sito dove effettua la maggior parte delle operazioni.
Detta giacenza media va verificata rispetto all’insieme dei wallet detenuti dal contribuente indipendentemente dalla tipologia dei wallet (paper, hardware, desktop, mobile, web).
Ai fini della eventuale tassazione del reddito diverso occorre, dunque, verificare se la conversione di bitcoin con altra valuta virtuale (oppure da valute virtuali in euro) avviene per effetto di una cessione a termine oppure se la giacenza media del wallet abbia superato il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.
Si fa presente, inoltre, che ai fini della determinazione di un’eventuale plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la predetta giacenza media, si deve utilizzare il costo di acquisto e che agli effetti della determinazione delle plusvalenze/minusvalenze si considerano cedute per prime le valute acquisite in data più recente (cfr. articolo 67, comma 1-bis, del TUIR).
Inoltre, in caso di bitcoin ricevuti “a titolo gratuito”, il costo iniziale da considerare è quello sostenuto dal donante, ai sensi del comma 6 dell’articolo 68 del TUIR. Per quanto riguarda, i redditi derivanti dalle operazioni realizzate sul mercato FOREX e da Contract for Difference (CFD) aventi ad oggetto valute virtuali, si ritiene che gli stessi costituiscano redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del TUIR.
Tali redditi, se percepiti da parte di un soggetto persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, sono soggetti ad imposta sostitutiva a norma 7 dell’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 (cfr. risoluzione n. 102/E del 25 ottobre 2011).
Ai sensi dell’articolo 68, comma 8, del TUIR, i suddetti redditi sono costituiti dal risultato che si ottiene facendo la somma algebrica dei differenziali positivi o negativi nonché degli altri proventi od oneri, percepiti o sostenuti, in relazione a ciascuno dei rapporti.
I redditi diversi di natura finanziaria in questione devono essere indicati nel quadro RT della Modello Redditi – Persone Fisiche e sono soggetti ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento.
Per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio fiscale, si fa presente che il citato decreto legislativo n. 90 del 2017, oltre a definire la valuta virtuale, ha tra l’altro modificato alcune disposizioni relative al monitoraggio fiscale di cui al decreto legge 28 giugno 1990, n. 167 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227 e successive modificazioni).
In particolare, sono stati estesi gli obblighi di monitoraggio fiscale, ordinariamente previsti per gli intermediari bancari e finanziari, altresì ai soggetti (c.d. “operatori non finanziari”) che intervengono, anche attraverso movimentazione di “conti”, nei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento effettuate anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15.000 euro.
Ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990, inoltre, è previsto l’obbligo di compilazione del quadro RW della Modello Redditi – Persone Fisiche, da parte delle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, tra le quali le valute estere.
Come chiarito dalla circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.) sono soggette al medesimo obbligo anche le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 – “Altre attività estere di natura finanziaria”. Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale.
Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno.
Da ultimo, si precisa che le valute virtuali non sono seggette all’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (c.d. IVAFE, istituita dall’articolo 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni), in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura “bancaria” (cfr. circolare 2 luglio 2012, n. 28/E).
Ciò posto, tenuto conto che il contribuente, nelle precedenti istanze si era limitato a chiedere se le operazioni a pronti erano soggette a tassazione omettendo di indicare quale fosse la reale giacenza media dell’insieme dei propri wallet, ad integrazione di quanto precisato dall’Agenzia nelle risposte alle precedenti istanze di interpello, si chiarisce che qualora nell’anno d’imposta 2016 tale giacenza avesse superato il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta, anche le operazioni di cambio effettuate in tale periodo d’imposta erano soggette a tassazione per effetto del combinato disposto dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), e comma 1-ter, del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. 9 Pertanto, nel caso in cui la giacenza media abbia superato il predetto limite, le citate risposte fornite dalla Direzione Regionale della Lombardia si intendono superate.
Qualora ricorra tale ipotesi il contribuente potrà presentare la dichiarazione integrativa relativa al periodo d’imposta 2016 ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, senza applicazione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Analogamente, per quanto riguarda la tassazione dell’operazione di acquisto dei 3 kg di oro oggetto del presente interpello, qualora i bitcoin detenuti abbiano superato il valore di euro di 51.645,69, per almeno sette giorni lavorativi nel periodo d’imposta 2017, l’acquisto dell’oro avrà comportato il realizzo di una plusvalenza, per effetto del prelievo dei bitcoin dal wallet, che deve essere indicata nel quadro RT della Dichiarazione dei Redditi – Persone Fisiche e assoggettata ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento.
Tale plusvalenza deve essere determinata come differenza tra il controvalore in euro dell’oro acquistato e il costo dei bitcoin calcolato sulla base del criterio L.I.F.O., il costo deve essere documentato dal contribuente.
Nel caso di specie, il contribuente afferma di non essere in grado di documentare il costo dei bitcoin, in quanto il sito dove li ha acquistati è stato chiuso, ma dichiara di essere in grado di dimostrare l’avvenuto bonifico verso l’exchanger.
Nel presupposto che a fronte di tale bonifico, il contribuente abbia acquistato esclusivamente bitcoin e che gli stessi non siano stati oggetto di successive operazioni, il contribuente può determinare il costo di acquisto come costo medio derivante dal bonifico effettuato diviso il numero di bitcoin acquistati.
Infine, si fa presente che il contribuente è tenuto alla compilazione del quadro RW, sia in relazione all’oro detenuto che ai bitcoin eventualmente ancora detenuti al termine del periodo d’imposta.
La risposta di cui alla presente nota, sollecitata con istanza di interpello presentata alla Direzione Regionale della Lombardia, viene resa dalla scrivente sulla base di quanto previsto al paragrafo 2.8 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 4 gennaio 2016.
Common Reporting Standard (CRS) – Comunicazione tra i Paesi aderenti delle attività finanziarie detenute dai contribuenti
Il Common Reporting Standard (CRS); è uno standard informativo, sviluppato dall’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) ), per lo scambio automatico di informazioni, (Automatic Exchange Of Information (AEOI)), a livello globale, tra le autorità fiscali, rivolto a facilitare i controlli anti-evasione, sulle attività finanziarie detenute dai contribuenti .
(Vedi: http://www.oecd.org/tax/automatic-exchange/)
Introdotto nell’Unione Europea dalla Direttiva 2014/107/UE (DAC 2), questo standard di raccolta e condivisione di dati sui conti esteri, secondo la lista aggiornata al 25 Aprile 2019, vede impegnati, 105 Stati. Oltre all’Italia, partecipano anche giurisdizioni considerate meno trasparenti (Lussemburgo, Svizzera, Isole Vergini, Cayman, Bermuda e altre).
la Direttiva 2014/107/UE ha modificato la Direttiva 2011/16/UE, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.
Sulla pagina web dell’OCSE http://www.oecd.org/tax/automatic-exchange/international-framework-for-the-crs/exchange-relationships/#d.en.345426 è possibile reperire informazioni sugli accordi bilaterali conclusi tra le autorità competenti delle varie nazioni.
In base alle modifiche apportate dalla Direttiva 2014/107/UE :
l’autorità competente di ciascuno Stato membro comunica, entro il termine stabilito al paragrafo 6, lettera b), all’autorità competente di qualsiasi altro Stato membro, mediante scambio automatico, le seguenti informazioni sui periodi d’imposta a decorrere dal 1o gennaio 2016 per quanto concerne un Conto Oggetto di Comunicazione:
a) |
il nome, l’indirizzo, il numero o i numeri di identificazione fiscale (NIF) e, nel caso di persone fisiche, la data e il luogo di nascita per ciascuna Persona Oggetto di Comunicazione che è Titolare di Conto e, nel caso di un’Entità che è Titolare di Conto e che, dopo l’applicazione delle norme di adeguata verifica in materia fiscale conformemente agli allegati, è identificata come avente una o più Persone che Esercitano il Controllo che sono Persone Oggetto di Comunicazione, il nome, l’indirizzo e il NIF o i NIF dell’Entità e il nome, l’indirizzo, il NIF o i NIF e la data e il luogo di nascita di ogni Persona Oggetto di Comunicazione; |
b) |
il numero di conto (o equivalente funzionale in assenza di un numero di conto); |
c) |
il nome e l’eventuale numero di identificazione dell’Istituzione Finanziaria Tenuta alla Comunicazione; |
d) |
il saldo o il valore del conto (compreso, nel caso di un Contratto di Assicurazione per il quale è Misurabile un Valore Maturato o di un Contratto di Rendita, il Valore Maturato o il valore di riscatto) alla fine del pertinente anno solare o di altro adeguato periodo di rendicontazione ovvero, se il conto è stato chiuso nel corso di tale anno o periodo, la chiusura del conto; |
e) |
nel caso di un Conto di Custodia:
|
f) |
nel caso di un Conto di Deposito, l’importo totale lordo degli interessi pagati o accreditati sul conto nel corso dell’anno solare o di altro adeguato periodo di rendicontazione; e |
g) |
nel caso di un conto non descritto alla lettera e) o alla lettera f), l’importo totale lordo pagato o accreditato al Titolare del Conto in relazione allo stesso nel corso dell’anno solare o di altro adeguato periodo di rendicontazione in relazione al quale l’Istituzione Finanziaria Tenuta alla Comunicazione è l’obbligato o il debitore, compreso l’importo complessivo di eventuali pagamenti di riscatto effettuati al Titolare del Conto nel corso dell’anno solare o di altro adeguato periodo di rendicontazione |
In base alla Direttiva la comunicazione di informazioni ha luogo come segue:
a) |
per le categorie di cui al paragrafo 1: almeno una volta all’anno, entro i sei mesi successivi al termine dell’anno fiscale dello Stato membro durante il quale le informazioni sono state rese disponibili; |
b) |
per le informazioni di cui al paragrafo 3 bis: una volta all’anno, entro i nove mesi successivi al termine dell’anno solare o altro adeguato periodo di rendicontazione cui le informazioni si riferiscono.» |
In attuazione della Legge 18 giugno 2015, n. 95 e della Direttiva 2014/107/UE del Consiglio, del 9 dicembre 2014, recante modifica della Direttiva 2011/16/UE, per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale è stato emanato il Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015.
Nell’art. 3 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015 sono elencate le informazioni oggetto di comunicazione.
Ai sensi della lettera a) del primo comma dell’art. 1 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015 , si intende per «Giurisdizione oggetto di comunicazione» qualsiasi giurisdizione estera che figura nell’allegato «C» al decreto. L’allegato C comprende qualsiasi Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia nonche’ qualsiasi giurisdizione con la quale l’Italia o l’Unione europea ha sottoscritto un accordo in base al quale tale giurisdizione ricevera’ le informazioni di cui all’art. 3.
Successivamente l’elenco degli Stati di cui all’allegato C, che riceveranno le informazioni di cui all’art. 3, è stato aggiornato dall’art. 1 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 26 aprile 2018 e dal Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 9 maggio 2019.
L’elenco aggiornato al Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 9 maggio 2019, di cui all’allegato C del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015, ricomprende:
N. | Giurisdizioni | Anno del primo scambio di informazioni | Primo periodo d’imposta oggetto di comunicazione |
---|---|---|---|
1 | Andorra | 2018 | 2017 |
2 | Arabia Saudita | 2018 | 2017 |
3 | Argentina | 2017 | 2016 |
4 | Australia | 2018 | 2017 |
5 | Austria | 2017 | 2016 |
6 | Azerbaijan | 2018 | 2017 |
7 | Barbados | 2019 | 2018 |
8 | Belgio | 2017 | 2016 |
9 | Bonaire | 2017 | 2016 |
10 | Brasile | 2018 | 2017 |
11 | Bulgaria | 2017 | 2016 |
12 | Canada | 2018 | 2017 |
13 | Cile | 2018 | 2017 |
14 | Cipro | 2017 | 2016 |
15 | Colombia | 2017 | 2016 |
16 | Corea | 2017 | 2016 |
17 | Croazia | 2017 | 2016 |
18 | Danimarca | 2017 | 2016 |
19 | Estonia | 2017 | 2016 |
20 | Federazione Russa | 2018 | 2017 |
21 | Finlandia* | 2017 | 2016 |
22 | Francia** | 2017 | 2016 |
23 | Germania | 2017 | 2016 |
24 | Giappone | 2018 | 2017 |
25 | Gibilterra | 2017 | 2016 |
26 | Grecia | 2017 | 2016 |
27 | Groenlandia | 2018 | 2017 |
28 | Guernsey | 2017 | 2016 |
29 | Hong Kong | 2018 | 2017 |
30 | India | 2017 | 2016 |
31 | Indonesia | 2018 | 2017 |
32 | Irlanda | 2017 | 2016 |
33 | Islanda | 2017 | 2016 |
34 | Isola di Man | 2017 | 2016 |
35 | Isole Cook | 2019 | 2018 |
36 | Isole Faroe | 2017 | 2016 |
37 | Israele | 2018 | 2017 |
38 | Jersey | 2017 | 2016 |
39 | Lettonia | 2017 | 2016 |
40 | Liechtenstein | 2017 | 2016 |
41 | Lituania | 2017 | 2016 |
42 | Lussemburgo | 2017 | 2016 |
43 | Malesia | 2018 | 2017 |
44 | Malta | 2017 | 2016 |
45 | Mauritius | 2018 | 2017 |
46 | Messico | 2017 | 2016 |
47 | Monaco | 2018 | 2017 |
48 | Norvegia | 2017 | 2016 |
49 | Nuova Zelanda | 2018 | 2017 |
50 | Paesi Bassi | 2017 | 2016 |
51 | Pakistan | 2018 | 2017 |
52 | Panama | 2019 | 2018 |
53 | Polonia | 2017 | 2016 |
54 | Portogallo*** | 2017 | 2016 |
55 | Regno Unito | 2017 | 2016 |
56 | Repubblica Ceca | 2017 | 2016 |
57 | Repubblica PopolareCinese | 2018 | 2017 |
58 | Repubblica Slovacca | 2017 | 2016 |
59 | Romania | 2017 | 2016 |
60 | Saba | 2017 | 2016 |
61 | San Marino | 2017 | 2016 |
62 | Seychelles | 2017 | 2016 |
63 | Singapore | 2018 | 2017 |
64 | Sint Eustatius | 2017 | 2016 |
65 | Slovenia | 2017 | 2016 |
66 | Spagna**** | 2017 | 2016 |
67 | Sudafrica | 2017 | 2016 |
68 | Svezia | 2017 | 2016 |
69 | Svizzera | 2018 | 2017 |
70 | Ungheria | 2017 | 2016 |
71 | Uruguay | 2018 | 2017 |
* Include: Isole Åland.** Include: Guadalupa, Guyana francese, Martinica, Riunione, Saint Martin e Mayotte, Saint Barthelemy. *** Include: Azzorre e Madera. ****Include: Isole Canarie. |
Ai sensi della lettera b) del primo comma dell’art. 1 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015 , si intende per «Giurisdizione partecipante» qualsiasi giurisdizione estera che figura nell’allegato «D» al decreto. L’allegato D comprende qualsiasi Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia nonche’ qualsiasi giurisdizione con la quale l’Italia o l’Unione europea ha sottoscritto un accordo in base al quale tale giurisdizione fornira’ alle autorità italiane le informazioni di cui all’art. 3.
Successivamente l’elenco degli Stati di cui all’allegato D, che forniranno le informazioni di cui all’art. 3, è stato aggiornato dall’art. 2 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 26 aprile 2018 e dall’art. 2 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 29 gennaio 2019.
L’elenco aggiornato al Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze del 29 gennaio 2019, di cui all’allegato D del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015, delle giurisdizioni che forniranno alle autorità italiane le informazioni di cui all’art. 3 del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 28 dicembre 2015 ricomprende:
“N. | Giurisdizioni |
---|---|
1 | ALBANIA |
2 | ANDORRA |
3 | ANGUILLA |
4 | ANTIGUA E BARBUDA |
5 | ARABIA SAUDITA |
6 | ARGENTINA |
7 | ARUBA |
8 | AUSTRALIA |
9 | AUSTRIA |
10 | AZERBAIJAN |
11 | BARBADOS |
12 | BAHAMAS |
13 | BAHRAIN |
14 | BELGIO |
15 | BELIZE |
16 | BERMUDA |
17 | BONAIRE |
18 | BRASILE |
19 | BULGARIA |
20 | CANADA |
21 | CILE |
22 | CIPRO |
23 | COLOMBIA |
24 | COREA |
25 | COSTA RICA |
26 | CROAZIA |
27 | CURAÇAO |
28 | DANIMARCA |
29 | EMIRATI ARABI UNITI |
30 | ESTONIA |
31 | FEDERAZIONE RUSSA |
32 | FINLANDIA* |
33 | FRANCIA** |
34 | GERMANIA |
35 | GHANA |
36 | GIAPPONE |
37 | GIBILTERRA |
38 | GRECIA |
39 | GRENADA |
40 | GROENLANDIA |
41 | GUERNSEY |
42 | HONG KONG |
43 | INDIA |
44 | INDONESIA |
45 | IRLANDA |
46 | ISLANDA |
47 | ISOLA DI MAN |
48 | ISOLE CAYMAN |
49 | ISOLE COOK |
50 | ISOLE FAROE |
51 | ISOLE MARSHALL |
52 | ISOLE TURKS E CAICOS |
53 | ISOLE VERGINI BRITANNICHE |
54 | ISRAELE |
55 | JERSEY |
56 | KUWAIT |
57 | LETTONIA |
58 | LIBANO |
59 | LIECHTENSTEIN |
60 | LITUANIA |
61 | LUSSEMBURGO |
62 | MACAO |
63 | MALESIA |
64 | MALTA |
65 | MAURITIUS |
66 | MESSICO |
67 | MONACO |
68 | MONSERRAT |
69 | NAURU |
70 | NIGERIA |
71 | NIUE |
72 | NORVEGIA |
73 | NUOVA ZELANDA |
74 | PAESI BASSI |
75 | PAKISTAN |
76 | PANAMA |
77 | POLONIA |
78 | PORTOGALLO*** |
79 | QATAR |
80 | REGNO UNITO |
81 | REPUBBLICA CECA |
82 | REPUBBLICA POPOLARE CINESE |
83 | REPUBBLICA SLOVACCA |
84 | ROMANIA |
85 | SABA |
86 | SAINT KITTS E NEVIS |
87 | SAINT LUCIA |
88 | SAINT VINCENT E GRENADINES |
89 | SAMOA |
90 | SAN MARINO |
91 | SEYCHELLES |
92 | SINGAPORE |
93 | SINT EUSTATIUS |
94 | SINT MAARTEN |
95 | SLOVENIA |
96 | SPAGNA**** |
97 | SUDAFRICA |
98 | SVEZIA |
99 | SVIZZERA |
100 | TURCHIA |
101 | UNGHERIA |
102 | URUGUAY |
103 | VANUATU |
—* Include: Isole Åland.** Include: Guadalupa, Guyana francese, Martinica, Riunione, Saint Martin e Mayotte, Saint Barthelemy. *** Include: Azzorre e Madera. **** Include: Isole Canarie.”. |
Gli Stati Uniti non hanno aderito allo Standard CRS.
La motivazione utilizzata è quella di aver già implementato uno Standard di scambio automatico delle informazioni (il FATCA).
Il FATCA è un accordo multilaterale equivalente a quello elaborato dall’OCSE e già operativo rispetto ad un ampio numero di Stati in virtù degli appositi accordi intergovernativi stipulati.
L’effetto immediato di detenere redditi o conti correnti in un Paese che adotta il Common Reporting Standard, o che aderisce al FATCA, è che automaticamente queste informazioni saranno disponibili dall’Agenzia delle Entrate.
I dati finanziari detenuti saranno annualmente trasmessi all’Agenzia delle Entrate italiana e potranno essere utilizzati per controllare la regolarità della posizione fiscale del contribuente.
E’ fondamentale dichiarare all’istituto finanziario estero, la propria residenza fiscale effettiva. Da tener presente che alcune giurisdizioni stanno applicando sanzioni penali per lo spergiuro sulle dichiarazioni dell’indirizzo di residenza.
Un esempio di efficacia del sistema CRS è il provvedimento 299737/2017 emanato dall’Agenzia delle Entrate, “Comunicazione per la promozione dell’adempimento spontaneo nei confronti dei contribuenti che hanno omesso di dichiarare per l’anno d’imposta 2016 le attività finanziarie detenute all’estero, come previsto dalla disciplina sul monitoraggio fiscale“.
L’obiettivo delle “lettere” era di «stimolare la regolarizzazione spontanea da parte del destinatario che potrà presentare, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, una dichiarazione dei redditi integrativa con il quadro RW correttamente compilato e inserendo altresì gli eventuali redditi percepiti in relazione alle attività detenute all’estero negli appositi quadri dichiarativi».
Le anomalie dichiarative relative all’anno d’imposta 2016 sono state individuate grazie alle informazioni sui dati finanziari pervenute dagli altri Paesi che avevano già aderito per il primo anno allo standard CRS.
Per la normativa di riferimento italiana vedi: https://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Schede/Comunicazioni/Scambio+Automatico+Finanziario+Internazionale/Normativa+di+riferimento+Scambio+Automatico+Finanziario+Internazionale/?page=schedecomunicazioni
Prestazione di servizi rese da soggetto extra Ue
Nella disciplina Iva delle operazioni effettuate con controparti non residenti assume particolare rilievo la questione relativa agli adempimenti che il committente nazionale deve porre in essere per assoggettare ad Iva i servizi presso soggetti passivi d’imposta in altri Stati (Ue o extraUe), per i quali è stata verificata la rilevanza territoriale in Italia.
Ai sensi dell’articolo 7-ter del DPR n. 633/72 le prestazioni di servizi si considerano effettuate in Italia quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio nazionale, nonché da questi a soggetti privati.
In pratica tutte le prestazioni di servizi generiche, non rientranti nelle deroghe contenute negli articoli da 7-quater a 7-septies, sono imponibili in Italia se rese da soggetto Passivo non residente, a un soggetto passivo Iva residente.
L’articolo 17, comma 2, primo periodo, del DPR n. 633/1972 (1), nel confermare l’obbligo di assoggettamento ad Iva in capo al soggetto nazionale in presenza delle predette operazioni territorialmente rilevanti in Italia dispone che, quando il fornitore non è situato in un Paese UE, la tecnica da utilizzare è l’autofattura.
L’autofattura è costituita da un nuovo esemplare di fattura che il cessionario o committente Italiano è tenuto ad emettere nei confronti di se stesso.
L’autofattura, emessa in un unico esemplare, deve essere datata e protocollata per l’annotazione nel registro Iva vendite e nel registri Iva acquisti rendendo di regola neutrale l’operazione.
L’autofattura deve necessariamente possedere, ai fini della sua corretta validità, i sotto indicati requisiti:
- L’annotazione della dicitura “autofatturazione“;
- I dati del fornitore residente in Stato Extra-UE;
- L’ammontare delle operazioni esenti, non imponibili, e imponibili con l’indicazione della relativa imposta.
Per quanto riguarda l’autofattura ex articolo 17, comma 2, questa deve essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo rispetto a quello di effettuazione dell’operazione.
(1) (Articolo 17, comma 2, primo periodo, del DPR n. 633/1972
……………….
Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’articolo 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti.……………….).