Le forme giuridiche mediante le quali un’impresa italiana può insediarsi all’estero sono essenzialmente tre:
“Le fattispecie individuate sono differenti sia in termini di costi sia di implicazioni legali e regolamentari che comportano. L’ufficio di rappresentanza è la modalità che comporta minori costi di costituzione e dalla quale discendono i minori obblighi civilistici (bastando la registrazione dell’unità locale nella Camera di Commercio dello Stato estero di insediamento). Pertanto, l’impresa italiana potrebbe decidere di iniziare ad operare in tale modo, per poi aprire una branch e successivamente trasformarla in società, ma potrebbe anche avvenire che, per le ragioni più diverse, il soggetto italiano opti per l’apertura diretta di una nuova joint venture. È il caso ad esempio dell’insediamento in Paesi nei quali per legge interna è necessario un socio locale.
È evidente che le diverse tipologie di insediamento, oltre a comportare implicazioni legali e regolamentari differenti in termini di obblighi civilistici e contabili, hanno anche implicazioni fiscali differenti.
L’ufficio di rappresentanza
L’ufficio di rappresentanza è un soggetto senza autonomia giuridica e fiscale rispetto alla casa madre. Pertanto, nello Stato estero non insorgono obblighi fiscali per l’impresa italiana. Essa verrà quindi tassata nel Paese estero come soggetto non residente, solo per i ricavi ivi prodotti. Alcuni Paesi, come accade in Italia, prevedono la tassazione degli utili di impresa di un soggetto non residente solo in presenza di stabile organizzazione, e pertanto l’impresa italiana che opera in uno Stato estero mediante ufficio di rappresentanza potrebbe non essere soggetta a tassazione in tale Stato.
Tuttavia, massima attenzione deve essere posta alle attività svolte dall’ufficio di rappresentanza. Il rischio è la riqualificazione di un ufficio di rappresentanza in stabile organizzazione all’estero dell’impresa italiana, con la conseguente tassazione nel Paese estero dei redditi ivi prodotti. Infatti, ai sensi della definizione di stabile organizzazione contenuta nel modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, costituisce stabile organizzazione (tra l’altro) la presenza di una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, salvo che le attività svolte non siano di carattere preparatorio o ausiliario all’attività della casa madre.
L’ufficio di rappresentanza potrà essere utilmente aperto in caso di laboratori, magazzini, depositi, uffici, negozi, in cui vengono svolte ad esempio attività promozionali, presentazione di merci (come gli show roomdove non viene svolta attività di vendita), la consegna delle merci, le ricerche di mercato.
La stabile organizzazione
L’apertura di una stabile organizzazione all’estero non sempre è una decisione dell’impresa italiana, ma dipende dal tipo di attività esercitata. Le autorità fiscali sono spesso molto attente a verificare se un insediamento estero configuri o no “stabile organizzazione” in quanto la stabile organizzazione è soggetta ad imposta nello Stato estero per i redditi ivi prodotti. Senza entrare nel dettaglio di quali sono le attività che comportano l’insorgere di una stabile organizzazione all’estero, basti qui notare che si può creare nello Stato estero una stabile organizzazione materiale (in virtù della presenza fisica di una sede fissa di affari della impresa italiana) o anche personale (in presenza di agenti non indipendenti che hanno il potere di concludere contratti in nome e per conto della società italiana). Una attenta disamina della situazione fattuale e delle attività effettivamente svolte all’estero è fondamentale per evitare di incorrere in sanzioni, anche pesanti, per omessa tassazione dei redditi prodotti all’estero.
Al di là dei casi in cui l’apertura di una stabile organizzazione all’estero non sia la mera conseguenza delle attività svolte dall’Italia mediante una sede estera o un agente dipendente), è possibile che un’impresa italiana decida volontariamente di aprire all’estero una stabile organizzazione e non costituire una società controllata.
Da un punto di vista civilistico, con il termine stabile organizzazione si intende un soggetto che non ha autonomia giuridica rispetto alla casa madre italiana, essendo più che altro la longa manuattraverso cui questa esercita la sua attività all’estero. Non avrà dunque necessità di un capitale sociale (anche se tipicamente la stabile organizzazione viene fornita di un fondo di dotazione adeguato allo scopo, soprattutto per problematiche fiscali), di organi gestori propri o di obblighi di redazione di bilancio. Per le passività della stabile organizzazione dunque risponde la casa madre italiana con il proprio patrimonio.
Al contrario, dal punto di vista fiscale, la stabile organizzazione è un soggetto rilevante, tanto da avere una propria numero identificativo estero (come la partita IVA o il codice fiscale). La stabile organizzazione è un autonomo centro di imputazione di ricavi e costi, e viene tassata nello Stato estero per i redditi ivi prodotti. La stabile organizzazione è considerata come un soggetto fiscalmente residente nello Stato estero ai fini fiscali, e come tale è soggetto alle ordinarie regole sulle imposte sul reddito previste per i soggetti esercenti attività di impresa (in Italia, le stabili organizzazioni di soggetti non residenti sono soggetti IRES tassate come le società di capitali italiane).
In sostanza, le operazioni svolte dalla stabile organizzazione, pur essendo registrate in una contabilità separata rispetto a quella della casa madre, confluiscono nelle registrazioni contabili dell’impresa italiana. La contabilità della stabile organizzazione è tenuta ai soli fini fiscali, al fine di calcolare il reddito ad essa afferente. Tale reddito viene tassato nello Stato estero, e viene anche incluso nel reddito complessivo della casa madre. Le imposte pagate all’estero vengono scomputate dal reddito della casa madre mediante il meccanismo del reddito di imposta.
Conseguentemente, le perdite realizzate dalla stabile organizzazione nello Stato estero sono portate in diretta deduzione del reddito imponibile italiano, e pertanto immediatamente recuperate. Tale peculiarità comporta inoltre un evidente vantaggio durante i primi periodi dell’insediamento all’estero, quando la possibilità di incorrere in perdite è elevata. Mentre in caso di società controllate estere che realizzano perdite consistenti potrebbe divenire necessario procedere con una ricapitalizzazione, in caso di branch estere non sarà necessario ripristinare il fondo di dotazione iniziale, semprechè lo stesso si mantenga congruo rispetto all’attività esercitata. Inoltre, in caso di perdite civilistiche una società potrebbe non essere in grado di ripagare dividendi alla casa madre, anche se in possesso di “cassa” libera (c.d. fenomeno del trapped cash, tipico in caso di ammortamenti molto elevati in conto economico).
Inoltre, le distribuzioni del fondo di dotazione dalla branch alla casa madre non sono soggetti a ritenuta nello Stato estero. Le linee Guida OCSE sull’attribuzione di profitti alla stabile organizzazione consentono, a certe condizioni, l’allocazione di finanziamenti tra la casa madre e la stabile organizzazione. Tali interessi passivi, unitamente agli interessi passivi su finanziamenti contratti direttamente dalla stabile organizzazione possono essere dedotti secondo le regole ordinarie dello Stato estero.”
Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/fisco/fiscalita-internazionale/quotidiano/2014/08/05/la-variabile-fiscale-per-l-insediamento-all-estero
“La società controllata
La costituzione di una società all’estero rappresenta la modalità più completa di insediamento all’estero. La società estera ha una propria personalità giuridica separata dalla casa madre, deve avere un proprio capitale sociale rispondente ai limiti minimi previsti dalla legislazione locale con il quale la controllata estera risponde per le proprie obbligazioni.
Una società estera, anche se controllata dalla casa madre italiana, deve avere organi decisionali e gestionali propri. Quest’ultimo aspetto risulta di particolare importanza anche alla luce delle numerose normative antielusive presenti nel nostro ordinamento, volte ad escludere la possibilità di una fittizia localizzazione all’estero di una società ai soli fini di beneficiare di regimi fiscali di favore rispetto a quello italiano, soprattutto in caso di società controllata costituita in paradisi fiscali.
Si tratta ad esempio delle norme in tema di esterovestizione, mediante le quali l’amministrazione finanziaria italiana può disconoscere la localizzazione all’estero dell’attività (e la conseguente tassazione nello Stato estero), quando la gestione della società estera venga svolta in Italia. Bisognerà dunque prestare attenzione alla “sostanza” della società estera, per evitare che l’autorità fiscale italiana consideri fittizio l’insediamento all’estero. A tale fine, saranno utili sia elementi propri della società estera, come la disponibilità di uffici funzionali allo svolgimento dell’attività, la presenza di dipendenti, di contratti di fornitura anche di servizi basilari come l’energia e il telefono, di conti correnti esteri intestati alla società, etc. Inoltre, le principali decisioni del consiglio di amministrazione dovrebbero essere prese all’estero, nel corso di riunioni tenute a cadenza regolare.
Inoltre, le società estere controllate o collegate residenti o localizzate in paradisi fiscali sono soggette alla disciplina delle c.d. controlled foreign companies(o CFC), che prevede la tassazione per trasparenza in capo alla società italiana dei redditi realizzata dalle società controllate o collegate estere che non dimostrino l’effettivo svolgimento all’estero di un’attività economico o alternativamente che dalla partecipazione non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati c.d.black list. La disciplina CFC si applica anche in caso di partecipazioni localizzate in Paesi white list, quando i redditi da queste prodotti siano per la maggior parte redditi c.d. passive, ovvero derivanti dallo sfruttamento di attività materiali, immateriali o finanziarie.
La società estera è tassata nel Paese estero secondo le regole ordinarie. I dividendi distribuiti dalla società estera possono essere soggetti a ritenuta nel Paese estero, e confluiscono nel reddito imponibile della società italiana (per il 5% del loro ammontare se si tratta di società estere in Paesi White List). Le ritenute subite all’estero possono essere scomputate dalle imposte dovute in Italia secondo il meccanismo del credito di imposta.
La scelta della forma giuridica con cui effettuare l’investimento all’estero deve essere attentamente ponderata, per evitare di incorrere in problematiche fiscali che ex post è più difficile gestire.”
Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/fisco/fiscalita-internazionale/quotidiano/2014/08/05/la-variabile-fiscale-per-l-insediamento-all-estero